DIARIO DON GIANCARLO - Piumazzo PARROCCHIA SAN GIACOMO

DIARIO DI DON GIANCARLO

Venerdì 6 giugno 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 21,15-19

Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore.


In quel tempo, [quando si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli».
Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore».
Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse "Mi vuoi bene?", e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi».
Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Parola del Signore.

 

 

L’apostolo Pietro, definito dallo stesso Cristo «pietra» e «roccia», su cui egli voleva poggiare la sua chiesa, nell’ora della prova ha mostrato tutta la sua umana fragilità, rinnegando per ben tre volte il suo maestro. La paura di essere coinvolto nella tragica vicenda che stava per abbattersi su Gesù, gli aveva giocato in brutto scherzo. Quando poi ha preso coscienza del suo peccato ha pianto lacrime amare di pentimento. Oggi Gesù lo sottopone ad un vero e proprio esame rivolgendogli per tre volte la stessa domanda: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Egli vuole così fargli comprendere dove vuole poggiare principalmente il primato che intende confermargli. Gesù aveva detto a tutti i suoi apostoli: «Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti». Pietro risponde con estrema sincerità e umiltà. La virtù che talvolta gli era mancata in passato: «Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo». Più che alla sua personale valutazione, si affida alla interiore conoscenza che attribuisce al suo maestro. Questa è la condizione per assumere il compito di primo dei pastori nella chiesa di Cristo. Questa è la dote indispensabile di cui deve essere adorno chi viene chiamato ad essere guida delle pecorelle del Signore. Con l’intensità dell’amore di Cristo deve essere pronto a difendere, a ricercare le smarrite sui monti e a dare la vita per le sue pecorelle. È per questo che il Signore, dopo aver confermato a Pietro il primato su tutti e sulla chiesa, gli predice il martirio. «Ti porteranno dove tu non vuoi» e aggiunge: «Seguimi». La sequela comporta la perfetta imitazione di Cristo, prima sulla via della croce e del martirio e poi nella gloria. Questa è la via privilegiata del prescelto da Dio, diventare frumento di Cristo per essere triturato e diventare pane per tutti. A questo conduce il sacerdozio, quando è vissuto nella continua e crescente comunione con Cristo. Se costatiamo debolezze e scandali anche da parte dei ministri dobbiamo solo umilmente riconoscere che non sempre siamo consapevoli della dignità e della sublimità della missione a cui siamo chiamati. Non sempre la preghiera occupa il primo posto nella nostra vita e di conseguenza ci ritroviamo immersi in faccende e compiti che non ci appartengono, dimenticando la missione primaria per cui siamo stati chiamati. Come è meschino allora pensare e credere che il rimedio alle debolezze dei ministri risieda nel celibato! No, la vera causa è la nostra solitudine e la colpevole distanza che li separa da Cristo. Buona giornata

Giovedì 5 giugno 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 17,20-26

Siano perfetti nell'unità.


In quel tempo, [Gesù, alzati gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Parola del Signore.

 

 

La richiesta centrale della preghiera sacerdotale di Gesù dedicata ai suoi discepoli di tutti i tempi è quella della futura unità di quanti crederanno in Lui. (…) L'unità dei cristiani da una parte è una realtà segreta che sta nel cuore delle persone credenti. Ma, al tempo stesso, essa deve apparire con tutta la chiarezza nella storia, deve apparire perché il mondo creda, ha uno scopo molto pratico e concreto deve apparire perché tutti siano realmente una sola cosa. L'unità dei futuri discepoli, essendo unità con Gesù - che il Padre ha mandato nel mondo -, è anche la fonte originaria dell'efficacia della missione cristiana nel mondo.

«Possiamo dire che nella preghiera sacerdotale di Gesù si compie l'istituzione della Chiesa ... Proprio qui, nell'atto dell'ultima cena, Gesù crea la Chiesa. Perché, che altro è la Chiesa se non la comunità dei discepoli che, mediante la fede in Gesù Cristo come inviato del Padre, riceve la sua unità ed è coinvolta nella missione di Gesù di salvare il mondo conducendolo alla conoscenza di Dio? Qui troviamo realmente una vera definizione della Chiesa. La Chiesa nasce dalla preghiera di Gesù. E questa preghiera non è soltanto parola: è l'atto in cui egli «consacra» sé stesso e cioè «si sacrifica» per la vita del mondo. (Benedetto XVI - Udienza Generale, mercoledì, 25 gennaio 2012). Buona giornata

Mercoledì 4 giugno 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 17,11b-19

Siano una cosa sola, come noi.

In quel tempo, [Gesù, alzati gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in sé stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità».

Parola del Signore.

 

 

Gesù, “alzati gli occhi al cielo” prega per i suoi, prega per il futuro della sua chiesa nascente. Gli apostoli, come inviati e messaggeri dello stesso Cristo e annunciatori del suo vangelo, debbono vivere con lui una intimità di comunione come quella che unisce il Figlio al Padre. Debbo essere, per tutti e per sempre, segno visibile di unità. Li ha mantenuti sotto la sua personale custodia durante la sua esperienza terrena, ora però dovranno affrontare il mondo, immergersi nella storia travagliata degli uomini, spesso contrassegnata da divisioni, persecuzioni e discordie. L'unità è la via privilegiata della pace, è la forza che per realizzare i migliori progetti umani, è il segno visibile e convincente della presenza di Dio nel mondo. La preghiera perenne di Cristo al Padre è la garanzia che rende possibile l'unità nell'amore, è la fonte della vera gioia, è “la pienezza della gioia”, quella che scaturisce dalla certezza della verità, che ci rende consapevoli del trionfo del bene partecipato a tutti. Per questo Gesù chiede al Padre: “Conservali nella verità”. La divisione più scandalosa deriva dalla mancanza di fedeltà alla Parola e alle verità rivelate, deriva dalla colpevole mancanza dello Spirito Santo, che illumina ed unisce nell'unica verità e nell'amore. Costatiamo ancora continuamente che, quando si vogliono vedere e definire le verità di Dio per noi, se non le guardiamo con la stessa luce divina, vengono inevitabilmente deformate e confuse e diventano causa di scismi e divisioni. È quanto è accaduto ripetutamente nella nostra santa Madre Chiesa. È vero che quella parola che ci è stata data, sin dall'inizio ha generato odio da parte del mondo, ma ciò non giustifica le nostre divisioni interne, quelle causate da coloro che s'identificano nello stesso Cristo ed hanno in custodia lo stesso vangelo. Il difficile compito da adempiere è fare la verità nella carità, come afferma San Paolo: “Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell'errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo”. La proposta paolina è diventata da sempre l'impegno primario della sua chiesa, anche se soffre ancora divisioni antiche e nuove. Il Signore Gesù ci fa chiaramente intendere che la via dell'unità, non può essere percorsa con strumenti giuridici e confronti e scontri di potere, ma solo mediante l'affermazione del primato nell'amore. A Pietro, chiamato ad essere il primo papa, Gesù chiederà per tre volte se è animato da un amore più grande degli altri undici e solo dopo la triplice confessione gli affiderà definitivamente il compito di guidare la sua Chiesa. Buona giornata

 

 

Martedì 3 giugno 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 17,1-11a
Padre, glorifica il Figlio tuo.

 

In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l'ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

Parola del Signore.

 

 

Mentre Gesù sta per iniziare la sua crudelissima passione fa sgorgare dal suo cuore una intensissima preghiera al Padre. Egli parla della sua «ora» come di un momento di glorificazione per sé e per i suoi, ai quali sta per garantire la vita eterna. È difficile per noi comprendere come si possano conciliare gloria e passione, morte e vita. Cristo vuole farci intendere che la vera gloria coincide sempre e soltanto con l'adempimento della volontà del Padre, anche quando questa significa la via del Calvario, la passione, la morte ignominiosa della croce perché poi tutto converge e culmina nella gloriosa risurrezione, che è di Cristo e anche nostra. Tutta la vita di Cristo, tutta la sua missione, le sue stesse parole, le opere che ha compiuto per i suoi e per tutto il mondo hanno significato la glorificazione di Dio. Ora però è giunto il momento, l' «ora» appunto, in cui quella gloria deve raggiungere il culmine. Lo dirà lo stesso Gesù morente sulla croce: «Tutto è compiuto». La preghiera di Cristo ha anche tutti i segni di un commiato: sta per lasciare i suoi e vuole perciò, nel dare loro la suprema testimonianza di amore con il dono della vita, affidarli al Padre celeste perché li custodisca dal maligno e perché siano capaci di dare una continua testimonianza di unità nella perfezione dell'amore. Siamo certi che quella accorata invocazione risuona continua in cielo per i suoi e per la sua Chiesa. Pur nelle inevitabili debolezze, la chiesa anela all'unità, i credenti in Cristo cercano di essere testimoni di amore vero, di reciproco perdono, di unità nell'unica fede. Resta comunque vero che questi grandissimi valori, queste divine ed umane aspirazioni passano inevitabilmente attraverso il travaglio della sofferenza e della croce. Accade così che i momenti di più intensa testimonianza della chiesa e dei fedeli, i richiami più forti all'unità, coincida sempre con le più feroci persecuzioni, con le più crudeli passioni e con le più marcate lacerazioni. Ecco perché quella preghiera di Cristo è incessante, il suo sacrificio è un memoriale. L' «ora» di Cristo è quindi legata indissolubilmente alla nostra storia, è l'ora del suo amore per noi, che è inesauribile. Buona giornata

 

 

Lunedì 2 giugno 2025

+ Dal Vangelo secondo Giovanni 16,29-33

 

Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo.


In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

 

Parola del Signore.

 

 

 

Gli antichi romani, che non erano santi perché pagani, ma spesso sapevano essere saggi, dicevano che l’amico sincero lo si riconosce nel momento della prova. Professare amicizie e garantire fedeltà, quando tutto va per il verso giusto, è fin troppo facile. Gesù ci ha rivelato che la prova suprema della fedeltà, quando è animata da amore sincero, è la disponibilità piena a dare la vita per la persona amata. Proprio come ha fatto Lui. Gli apostoli credono di aver capito il messaggio del loro maestro, egli però deve ancora ribadire un concetto ch’è di difficile assimilazione e riguarda proprio la loro fedeltà nel momento della prova. Sembra che il Signore voglia parlarci dei fervori facili e superficiali, che spesso ci convincono erroneamente di aver raggiunto una fede e una sicurezza incrollabili, che poi però vengono clamorosamente smentiti quando il prezzo da pagare ci sembra troppo alto. È la storia vera di tanti di noi che presumono e confidano nelle proprie forze, anche quando sono chiamati a realizzare progetti divini. C’è per ognuno di noi un «ora» in cui siamo chiamati a testimoniare a caro prezzo la verità e troppo spesso siamo colti di sorpresa, perché non siamo in grado di portarne il peso. Dal primo peccato fino ad oggi, sono innumerevoli le vittime della presunzione. Gli stessi apostoli sperimenteranno con delusione e sofferenza, Pietro ne sarà la vittima più illustre. Dinanzi alla tragedia della croce, si disperderanno tutti e lasceranno solo il Signore. Quante fughe, quanti tradimenti dopo quell’episodio: fughe da responsabilità e da impegni, fughe dopo solenni promesse di fedeltà, fughe da responsabilità e da testimonianze, tradimenti nei confronti delle persone amate, tradimenti di consacrati e di consacrate, di ministri e di pastori. La causa unica per tutti è sempre la stessa: lontani dalla linfa vitale della vite, tralci secchi, uomini e donne, carichi di pesi e lontani da Cristo, privi del dono dello Spirito. Poi inevitabilmente stramazzano uno sull’altro sotto quei pesi e si creano, con le proprie mani, ciascuno una tomba: li muore il cristiano, lì muore il sacerdote, lì lo sposo, lì la consorte, lì i figli: lì è il sepolcro dell’amore. A pensare che sono ancora pienamente valide tutte le promesse di Cristo: «Non vi lascio soli, vi manderò un nuovo Consolatore, abbiate fiducia, io ho vinto il mondo». Perché allora tanta solitudine e tanta presunzione? Dobbiamo riscoprire tutti insieme il dono della fedeltà appoggiandoci totalmente a Cristo. Buona giornata

 

Domenica 1 giugno 2025, Ascensione del Signore

Dal Vangelo secondo Luca Lc 24,46-53

Mentre li benediceva veniva portato verso il cielo.


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto».
Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Parola del Signore.

 

 

 

«Esulti di santa gioia, la tua chiesa, o Padre per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te». Così ci fa pregare la liturgia in questo giorno solenne. Siamo sollecitati alla gioia, a dare lode a Dio perché Cristo ascende vittorioso e perché anche la nostra umanità è innalzata nella gloria. Il cielo che si riapre per accogliere il Figlio di Dio, si riapre anche per tutti noi. Il primo dei martiri, Santo Stefano, ci conferma in questa visione e in questa nuova speranza: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio». Gli apostoli sono testimoni oculari dell'ascensione del Signore. Era stato fissato loro un appuntamento in Galilea, dopo che ripetutamente, lo stesso Signore li aveva preventivamente avvertiti della sua prossima dipartita. Il loro cuore aveva sperimentato angoscia e timore a quell'annuncio. Gesù li aveva rassicurati fino a dire loro: «È bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò». Ciò nonostante alcuni di loro dubitano ancora. Per secoli di storia il cielo era rimasto chiuso agli uomini, quella distanza, stabilita dal peccato, sembrava ormai incolmabile per noi legati alla terra. Gesù deve fugare ogni dubbio e non vuole nemmeno che i suoi rimangano incantati a fissare il cielo che lo sta per avvolgere e nascondere ai loro occhi. Vuole invece che nasca nel cuore di tutti la certezza che egli va a prepararci un posto e che ritornerà a prenderci. Questo è il potere che il Padre gli ha conferito, salire al cielo senza lasciarci orfani, anzi con la reale possibilità di restare con noi sempre fino alla fine dei tempi. La fede degli apostoli, così alimentata, dovrà poi essere annunciata e testimoniata al mondo intero: «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Da quel giorno, da quel monte della Galilea, è sorta per il mondo una fede e una fiducia nuova: veramente ci sentiamo innalzati anche noi con Cristo, anche noi abbiamo riscoperto la nostra vera patria, l'ultimo approdo a cui tendere, dopo aver osservato gli insegnamenti di Cristo, nostra via. Ecco perché la chiesa ci ha invitati tutti a godere di santa gioia, ecco perché cielo e terra hanno ritrovato il punto di congiunzione e gli uomini hanno visto rinascere la migliore speranza. Buona Domenica

 

Sabato 31 maggio 2025, Visitazione della B.V. Maria

Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,39-56

Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente: ha innalzato gli umili.


In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore.

 

 

L'”Ave Maria”, la preghiera con cui salutiamo ed invochiamo la Vergine, iniziata dall’Angelo Gabriele, è oggi proseguita e completata da Elisabetta. La prescelta da Dio per essere la madre del Signore, colei che concepirà il Figlio di Dio per opera dello Spirito Santo, ha saputo dal messo divino che anche Elisabetta, che tutti dicevano sterile, è ormai prossima alla maternità. La Madre di Dio, che si era professata “la serva del Signore”, ora la vediamo salire in fretta verso la montagna per raggiungere la sua parente e diventare la sua serva. Splende l’umiltà di Maria, brilla di luce vera nel suo cuore purissimo l’amore del Signore; è piena di grazia, lo Spirito Santo è sceso su di lei, la potenza dell’Altissimo l’ha adombrata, ora sollecita e quasi ignara della sublime dignità a cui Dio stesso l’ha innalzata, deve testimoniare lo stesso amore ad Elisabetta, deve prestare a lei quegli umili servizi di cui ogni mamma ha bisogno prima del parto. Proprio da questa testimonianza è della completa disponibilità di Maria, proprio nel dare gratuitamente amore, anche ciò che è arcano, velato nel mistero e chiuso nel segreto del cuore, si svela in un incontro di due anime votate a Dio e illuminate dallo steso Spirito. Al saluto di Maria esulta il bambino nel grembo di Elisabetta. Lei, piena di Spirito Santo, riconosce nella giovane parente “la madre del Signore” e la proclama “benedetta fra tutte le donne” perché ha creduto alla parola del Signore. Esplode in un canto di lode e di ringraziamento la vergine Maria: canta e magnifica il Signore, esulta in Dio salvatore, perché ha posato il suo sguardo di compiacenza sulla sua povertà. Ora più nulla può nascondere Maria e la sua “beatitudine” dovrà essere proclamata nei secoli futuri. La misericordia divina sta per espandersi sul nostro mondo per tutti coloro che, con la stessa umiltà di Maria, accoglieranno i doni di Dio. L’incarnazione del Verbo viene a cancellare la superbia degli uomini e ad esaltare gli umili. La grande promessa di salvezza definitiva ed universale, scandita da Dio sin dal principio, ora si compie, sta per nascere nel grembo della vergine Maria. I motivi della gioia vengono lanciati dal quel canto a tutta l’umanità, l’esultanza di Maria si trasferisce alla Chiesa del suo Bambino, che ancora ogni giorno al calar del sole, con le stesse parole, con la stessa gioia canta il suo “Magnificat”. Abbiamo imparato da lei e ci verrà confermato da Cristo stesso che i privilegi divini non vengono dati per una personale esaltazione, ma per la gloria di Dio e per l’edificazione del nostro prossimo. Maria, la benedetta fra tutte le donne, la Madre del Signore, prima del suo Gesù, insieme a lui, portato in grembo, sale la montagna per essere la serva di Elisabetta e la nostra serva, assumendo così il suo ruolo di Madre della Chiesa, prima ancora che il suo Figlio, morente sulla croce, la proclamerà tale. Buona giornata

 

 

Venerdì 30 maggio 2025

DEDICAZIONE DELLA CHIESA DI PIUMAZZO

Oggi ricorre il 35° anniversario della dedicazione (consacrazione) della nostra chiesa di San Giacomo di Piumazzo; questo giorno segna anche l'inizio delle attività del nostro coro parrocchiale. Affidiamo a Maria Santissima, Madre della Divina Provvidenza, il compito di custodire e proteggere la Chiesa di "pietre vive", che in questo nostro bellissimo edificio esprime tutta la sua la gioia di appartenere a Cristo. La Vergine Maria sostenga il nostro coro parrocchiale nel prezioso servizio che svolge ai divini misteri, elargendo grazie e benefici a tutti coloro che ne fanno parte o che in futuro vorranno aderirvi. 

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 16,20-23a

Nessuno potrà togliervi la vostra gioia.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia. Quel giorno non mi domanderete più nulla».

Parola del Signore.

 

 

La gioia che ci è promessa da Cristo non ci sarà tolta proprio perché non guarda solo alle realtà terrene. L’esempio della donna che partorisce ci fornisce una motivazione aggiuntiva sul valore di questa gioia. La donna che porta in grembo un bambino sa che il parto le recherà dolore. La gioia di vedere alla luce quel bimbo che in lei si è formato in nove mesi sarà immensa e darà una motivazione al dolore sofferto. Le sofferenze di oggi, ci dice anche San Paolo, saranno niente rispetto alla promessa futura. Le gioie che possiamo avere nel soddisfare le nostre preoccupazioni temporali svaniranno. Il messaggio di Gesù ci invita ad un agire diverso e certamente più responsabile. È l’invito a stare sempre nel suo insegnamento; nel solco del suo Amore. La gioia che ci è promessa è senz’altro molto più grande delle difficoltà che stiamo subendo. È questa la vera conversione! Guardare a Gesù, agire come Lui vuole! È il messaggio di oggi ed è il significato della vera gioia, che in Lui è piena. Apriamo i nostri cuori allo Spirito Santo per riconoscere dove cercare la gioia in Cristo e saperla riconoscere per impossessarcene in modo Definitivo! Buona giornata

 

 

Giovedì 29 maggio 2025

Oggi per la nostra Arcidiocesi di Bologna è la Festa della Beata Vergine Maria di San Luca

 

Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,39-56

 

Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente: ha innalzato gli umili.

 

In quei giorni, Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore". Allora Maria disse: "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva. D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre". Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore

 

 

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 16,16-20

Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete».
Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire».
Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia».

 

Parola del Signore.

 

 

 

Quanto ci occupa, ci preoccupa e talvolta ci spaventa, il tempo! Ha un ritmo inarrestabile che ci conduce alla fine; crea così distacchi dolorosi ed inevitabili perdite. È in vista di ciò che ne percepiamo meglio il valore, ma sappiamo che spesso ci sfugge, ci ingoia e ci affligge. Nella visione di Dio «Mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte». È evidente che presso Dio il calcolo del tempo viene valutato con parametri diversi dai nostri. Per questo gli apostoli non comprendono le parole di Gesù quando dice loro: «Ancora un poco e non mi vedrete; un po’ ancora e mi vedrete». «Che cos’è mai questo «un poco» di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». È una cronologia davvero difficile da comprendere, anche perché non è solo tempo quello di cui parla Gesù, ma piuttosto di eventi nuovi, di situazioni nuove che consentiranno di vederlo. Quel «poco» riguarda la fede dei discepoli e la luce dello Spirito Santo, le due lampade che splenderanno nei loro cuori e consentiranno di vederlo realmente. Solo allora la tristezza si cambierà in gioia. Tutti noi siamo nell’attesa di vedere. Il velo che ci offusca è ancora determinato dalla pochezza della nostra fede nel risorto e dalla non piena accoglienza dello Spirito. Per questo il «poco» che abbiamo ancora da vivere e il «poco» che ci separa dalla mèta è spesso cosparso di pianto e di tristezza. Voglia Dio che sia il desiderio di Lui e l’essere incapaci di una risposta adeguata al suo infinito amore a renderci tristi e a far sgorgare il nostro pianto. Tutti noi sappiamo come colmare quel «poco» e sconfiggere definitivamente la sensazione di un distacco doloroso da Cristo: è la nostra comunione con noi, è la nostra vita modellata al suo Vangelo, è la nostra preghiera che ce lo rende vivo, presente e partecipe della nostra storia. Buona giornata

 

Mercoledì 28 maggio 2025,  festa della Madonna della Provvidenza

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 2,1-11)

 

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Parola del Signore

 

 

Le nozze di Cana è il primo evento in cui Gesù ha manifestato la sua gloria. Maria è con lui e lo invita a rivelarsi nel momento in cui il vino è terminato. Gesù dapprima cerca di ignorare l’invito della Madre, ma interviene di fronte alla richiesta della madre accetta e compie il primo miracolo. Come il maestro di tavola assaggia il vino, si stupisce perché è migliore del vino buono servito fino a quel momento.

Perché il primo miracolo di Gesù non è una guarigione prodigiosa, la liberazione da un demonio, e nemmeno un evento di massa come la moltiplicazione dei pani? L’evangelista non vuole certo dire che Gesù stesse “imparando” a fare i miracoli, anche se il primo è rivolto ai pochi invitati di un banchetto nuziale.
Penso che questo Vangelo voglia anticipare in questi pochi gesti, quasi come una parabola, l’annuncio del Regno di Dio: il banchetto sta per finire, come la nostra vita, per quanto bella, è destinata a terminare; Maria prega Gesù di intervenire e con la perseveranza riesce a fargli portare vino nuovo alla tavola. Non solo nuovo, ma anche migliore.

L’eternità che ci offre il Vangelo non solo ci permette di superare la soglia della morte, ma ci porterà proprio ad una nuova vita. Non solo nuova, ma anche libera dal peccato e dal male.

E noi non dobbiamo fare altro che comportarci come Maria: continuare ad aver fede nel Signore, anche quando ci sembra che sia sordo alle nostre preghiere.
Non possiamo gustare ancora il vino nuovo, ma sappiamo che sarà migliore di qualunque altro vino bevuto finora. Buona giornata

 

 

Martedì 27 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 16,5-11

Se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: “Dove vai?”. Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore.
Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi.
E quando sarà venuto, dimostrerà la colpa del mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Riguardo al peccato, perché non credono in me; riguardo alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; riguardo al giudizio, perché il principe di questo mondo è già condannato».

Parola del Signore.

 

 

 

“Ci sono molti modi di essere presenti. Se due alberi si trovano l’uno vicino all’altro, sono presenti l’uno all’altro, ma in un senso del tutto esteriore ed imperfetto. Non sanno nulla l’uno dell’altro, non si preoccupano l’uno dell’altro e, nonostante la loro vicinanza, rimangono estranei l’uno all’altro. La presenza nel vero senso della parola comincia solo nel momento in cui due persone si conoscono spiritualmente e si mettono l’una di fronte all’altra consapevolmente. Ciò permette loro di avere interiormente una sorta di immagine l’una dell’altra, per cui l’altro ha, per così dire, una seconda esistenza in colui con il quale è in rapporto. E se una presenza di questo genere è mantenuta nella maggior parte delle persone che si incontrano, essa può diventare una realtà potente in chi ci conosce e ci ama. L’immagine dell’altro che ognuno porta in sé è, per così dire, carica di realtà. Anche la solitudine può essere piena della presenza dell’altro” (Balthasar). Gesù risponde alla tristezza dei discepoli, provocata dal suo annuncio che presto se ne sarebbe andato, con la promessa dello Spirito: “È bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore”. Mandando loro il suo Spirito, Gesù sarà presente in loro. Ma la sua presenza non sarà puramente esteriore. Con la discesa dello Spirito, la sua assenza si trasformerà in una forma di presenza più profonda, più reale. Questa nuova forma della presenza di Gesù nei suoi, tramite lo Spirito, porterà a compimento la sua vittoria definitiva sul mondo. Nel corso della sua vita terrena, Gesù era stato respinto dagli Ebrei e stava per essere condannato a morte. Lo Spirito rivisiterà questo avvenimento, provando ai discepoli che il peccato è dalla parte del mondo (perché non ha creduto in lui), che la giustizia è dalla parte di Gesù (poiché la sua vita non termina nel sepolcro, ma ritorna al Padre) e che è il principe del mondo ad essere condannato. Testimoniando questa vittoria, lo Spirito Paraclito diventa un antidoto alla tristezza che attanaglia i cuori dei discepoli nel momento in cui Gesù se ne sta andando e, nello stesso tempo, alla persecuzione che si scatenerà contro di loro. Buona giornata

 

Lunedì 26 maggio 2027, memoria di San Filippo Neri

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,26-16,4a

Lo Spirito della verità darà testimonianza di me.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio.
Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi. Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, viene l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio. E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma vi ho detto queste cose affinché, quando verrà la loro ora, ve ne ricordiate, perché io ve l'ho detto».

Parola del Signore.

 

 

Gesù parla sempre in modo franco ai suoi discepoli. Riconosce loro che sono stati sempre con Lui, con il Maestro. Non è fonte di privilegio per chi lo ha sempre seguito. Gesù è chiaro ed esplicito; i suoi discepoli dovranno subire prove e persecuzioni. Non nasconde loro le future difficoltà. Non vuole creare false illusioni. È un realismo che non è crudo ma che nasce dall’amore. È un dono di generosità che continua a tributare per i suoi discepoli e per noi stessi. Ogni volta che preannuncia delle difficoltà, Gesù indica sempre una strada; un percorso che permette di superare questi ostacoli. Lo stesso amore che ci dona è posto poi a fondamento di questo cammino. Egli preannuncia questi momenti perché siano affrontati e superati con generosità. Il momento di comunione intima di Gesù che il vangelo di oggi propone ha proprio questo intento. È un grande messaggio che ispira fiducia. La base è sempre e solo l’amore; l’amore del Padre verso il Figlio, l’amore di Gesù verso di noi e il nostro amore verso Dio e gli altri. È come se fosse un circuito elettrico dove è necessaria la presenza di tutti questi elementi. La promessa dello Spirito Santo garantisce la presenza di un Dio-Amore che infonde coraggio e fiducia. La chiesa garantisce questa presenza. A noi renderla credibile con generosità ed altruismo. Buona giornata 

 

 

Domenica 25 maggio 2025, VI° di Pasqua

151° OTTAVARIO DELLA MADONNA DELLA PROVVIDENZA

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,23-29

Lo Spirito Santo vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.


In quel tempo, Gesù disse [ai suoi discepoli]:
«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.
Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.
Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Parola del Signore.

 

 

 

«Qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?». Così leggiamo nel Deuteronomio e siamo ancora nel vecchio testamento, quando tutto scaturiva da una alleanza tra Dio e il suo popolo e come frutto della preghiera. Il Signore Gesù già con la sua incarnazione stabilisce una alleanza nuova, alleanza che diventerà comunione totale di vita con il dono del suo corpo e del suo sangue. È una comunione di amore infinito da parte di Cristo, intenso, speriamo il nostro. È una simbiosi, cioè Vita nella vita, quella divina che prende possesso della nostra persona. È quindi una elevazione ad una nuova dignità; siamo riassunti da Dio nell'ambito del suo amore di Padre come figli. Questa è la motivazione fondamentale che dovrebbe smuovere il nostro amore come espressione di infinita gratitudine per l'insperato recupero. L'effusione dello Spirito giunge a completamento dell'opera salvifica di Cristo. Diventiamo anche noi capaci di amare nella stessa dimensione di quello Spirito. È allora che la comunione diventa piena, stabile, intensa. È lo stesso Signore a darci questa esaltante certezza: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui». San Paolo così interrogava i primi cristiani: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?». È un interrogativo che conserva tutta la sua urgenza anche per noi, cristiani di oggi. Forse abbiamo ridotto le nostre comunioni a rari momenti della nostra vita, ad episodi liturgici senza giungere alla consapevolezza degli effetti che dovrebbero coinvolgere tutta la nostra vita. Pare che abbiamo, più o meno consapevolmente, creato una frattura tra il Dio della chiesa e quello della vita. Forse le nostre comunioni iniziano e finiscono tra i banchi di chiesa lasciandoci poi vuoti quando ritorniamo nelle strade del mondo. Quel Cristo che scende per noi sui nostri altari per diventare cibo e bevanda di salvezza, viene poi rilegato di nuovo in cielo se la nostra comunione non lo coinvolge nella realtà del vivere quotidiano. Viene da chiedersi in quanti cuori abita realmente la divinità e quanti di noi sono realmente tempio dello Spirito. Buona Domenica.

 

 

Sabato 24 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,18-21

 

Voi non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo.

 

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato».

Parola del Signore

 

 

Una fede da proteggere e diffondere con la spada è ben debole. La storia è del resto consapevole del paradosso che fa sì che la fede cristiana diventi più forte quando è perseguitata. Il sangue dei martiri, scriveva Tertulliano, è seme di cristiani. Ai giorni nostri, il termine "martire" è usato per definire chiunque soffra e muoia per una "causa", che può essere l'idea di nazione, la rivoluzione sociale, persino la "guerra santa" caldeggiata dai fanatici. Ma simili martiri sono causa di sofferenze maggiori di quelle inflitte a loro stessi. Il vero martire (dal greco, che significa testimone) soffre semplicemente perché è cristiano: testimone di Cristo. Il secolo scorso, ma anche quello attuale, sono davvero i secoli del martirio, con innumerevoli martiri, come i cristiani armeni in Turchia, i cattolici in Messico, nella Germania nazista, nell'ex Unione Sovietica e nell'Europa dell'Est, in Cina, in Corea, in Vietnam, in Sudan, ... L'elenco potrebbe continuare con vari paesi dell'Africa e dell'Asia e del Sud America. E, per restare vicino a noi, molti sono coloro che affrontano un martirio "bianco", cioè senza spargimento di sangue, tentando semplicemente di vivere la fede in un mondo sempre più ateo o predicando le esigenze integrali dell'insegnamento della Chiesa nel campo della morale, avendo per fondamento la rivelazione di Cristo. Non dobbiamo essere sorpresi, ma piuttosto rallegrarci ed essere felici: è questo che egli ci ha promesso. Buona giornata

 

 

Venerdì 23 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,12-17

 

Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Parola del Signore.

 

 

Nell’antichità, l’amicizia era stimata al di sopra di ogni cosa. Era considerata qualcosa di raro, di cui poteva godere solo l’uomo virtuoso ed educato, in quanto era vista come il più spirituale di ogni tipo di amore. A differenza dell’amore erotico, in cui gli amanti si amano ponendosi l’uno di fronte all’altro, gli amici si tengono l’uno di fianco all’altro, mirando alla stessa meta o avendo un interesse comune: il vero, il bene, il bello (C. S. Lewis). Ciò che unisce i veri amici è la verità espressa in una vita virtuosa. Cristo ha chiamato “amici” i suoi discepoli a lui più vicini solo alla fine della sua vita, dopo aver fatto loro conoscere tutto ciò che aveva sentito dal Padre, dopo aver rivelato la verità a coloro che egli aveva scelto. Per provare che non esiste amore più grande del suo, egli ha offerto la propria vita per i suoi amici. Di conseguenza, ciò che era raro nell’antichità, è comune nella Chiesa, in cui uomini e donne conoscono e vivono la verità. Tale verità distrugge ogni barriera sociale, culturale o razziale; unisce i cuori e gli spiriti che cercano di conoscere e di vivere quella verità, che è la nostra fede. Così la Chiesa è cattolica, come lo è la vera amicizia, ed è per questo che uomini e donne provenienti dagli ambienti più diversi possono amarsi davvero, come ci ha amati Cristo. Ciò è evidente soprattutto nella vita religiosa. Buona giornata

 

 

Giovedì 22 maggio 2025, memoria di Santa Rita da Cascia

 

 

 Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,9-11

Rimanete nel mio amore, perché la vostra gioia sia piena.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena».

Parola del Signore.

 

 

"Se un uomo e una donna sono davvero marito e moglie - dice un proverbio cinese - allora è dolce anche essere mendicanti. In altre parole, se ci si ama, si può essere felici anche nelle circostanze più difficili. La gioia è il segno del vero credente, che ama Dio e che resta nell'amore di Cristo. Chiuso e diffidente, il cuore dell'uomo fa fatica ad accettare di essere infinitamente amato da Dio, nonostante i suoi peccati e i suoi rifiuti. Accettare l'amore non meritato di Cristo, accettare il fatto che egli ci ama di un amore eterno, significa provare una gioia senza limiti, quella gioia che si esprime nelle lacrime del pentimento e negli inni di lode e di ringraziamento. Perché questa gioia raggiunga la pienezza, l'anima deve restare nel suo amore, deve sforzarsi di fare sempre la sua volontà, essere pronta a portare la propria croce quotidiana, sopportare l'assenza di ogni altra gioia, anche se legittima e persino l'esperienza orrenda del non riconoscere la presenza di Dio, quella notte dell'anima che precede l'alba della gioia eterna, ora e nel mondo futuro. Buona giornata

 

Mercoledì 21 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,1-8

Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da sé stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Parola del Signore.

 

 

In molte regioni, nel mondo attuale, il cristiano è ormai una figura d'eccezione. Anche nei paesi tradizionalmente cattolici il credente si trova immerso nel materialismo e nel laicismo che minacciano l'annientamento della vita dello Spirito. Abbandonati a noi stessi, ci perdiamo, intimoriti da forze che sembrano sempre più grandi e imperiose. La situazione della Chiesa delle origini non era però diversa. Eppure i primi cristiani, al seguito di un gruppo di pescatori della Galilea, privi di potere in quanto alle cose del mondo, ma ripieni della forza dello Spirito, "vennero, videro e vinsero" l'Impero Romano. Contando solo sui propri mezzi, non potevano far nulla, ma uniti a Cristo, come i tralci alla vite, produssero frutti in abbondanza. Ogni credente è chiamato a fare lo stesso: a sentirsi pronto ad essere sfrondato dal vignaiolo, cioè dal Padre. In altre parole, per dare frutti dobbiamo essere disposti a soffrire, per esempio andando contro le mode imperanti, rispettando i nostri principi cristiani negli affari, restando fedeli nel matrimonio, sopportando ogni tipo di discriminazione derivante dal professare pubblicamente la nostra fede. Una tale sofferenza purifica il cuore del credente e rafforza la vita di Cristo in noi. Buona giornata.

 

 

Martedì 20 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,27-31a

Vi do la mia pace.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi.
Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: "Vado e tornerò da voi". Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate.
Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il prìncipe del mondo; contro di me non può nulla, ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre, e come il Padre mi ha comandato, così io agisco».

 

Parola del Signore.

 

La pace di Cristo non coincide con quella che gli uomini dicono di cercare: è un dono che entra nel profondo del cuore. La pace di Gesù non è una conquista sanguinosa, ma un dono di Dio, che viene attraverso Gesù. Chi lo riceve è liberato dall’ansietà e turbamento del cuore. Le tribolazioni ci saranno sempre, ma con la Sua presenza, la Sua grazia, esse diventano mezzo di salvezza, luogo di incontro e di cammino nel regno di Dio. Come lo sono state per San Paolo. Egli, predicando il vangelo, ha subito ogni tipo di persecuzione. Ma la stessa tribolazione è mezzo di fede, per portare il Vangelo dove Cristo non è accettato. Questa fede ha reso Gesù vivo in mezzo ai discepoli. Anche oggi solo la fede ci fa entrare nel mistero del risorto. Entrarvi è possibile se amiamo e facciamo la volontà del Padre nella missione ricevuta. Buona giornata

 

 

Lunedì 19 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,21-26

Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome vi insegnerà ogni cosa.


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».
Gli disse Giuda, non l'Iscariota: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi, e non al mondo?».
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

 

Parola del Signore.

 

 

 

Alla verità fa capo l’umiltà. Questa è umile ma fondamentale virtù cristiana che spesso è disprezzata o mal compresa. L’umiltà mal compresa diventa distorsione e contorsione dello spirito: ipocrisia, affettazione, caricatura. La vera umiltà si trova nell’insegnamento e nella vita di Gesù. E poi nella vita di Maria e dei santi. Andando a questa scuola, cerchiamo di ricordare almeno le linee direttrici della virtù dell’umiltà. Il Figlio di Dio, il Verbo eterno, obbedendo al Padre si fa uomo. Vero uomo: nella condizione di schiavo, obbediente fino alla morte. Il motivo è l’amore, non può esservi umiltà se non si ama. La realizzazione dell’umiltà è il riconoscimento della volontà del Padre e il servizio dei fratelli. Su queste direttrici cammina l’umiltà del cuore di Cristo e deve camminare la nostra. Buona giornata

 

Domenica 18 maggio 2025, V° di Pasqua

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 13,31-33a.34-35
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.


Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.
Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri.
Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Parola del Signore.

 

 

Poteva sgorgare soltanto dal cuore e dalle labbra di Cristo il comandamento nuovo. Egli soltanto ha potuto gridare al mondo: «Che vi amiate gli uni gli altri». Soltanto Cristo poteva determinare un chiaro ed inconfutabile termine di paragone: «Come io ho amato voi così amatevi anche voi gli uni gli altri». Egli stesso aveva stabilito come esprimere il massimo dell'amore: «Non esiste un amore più grande di questo, dare la vita...». Esattamente come Egli ha fatto con la sua volontaria immolazione sulla croce. Gesù aggiunge che sarà proprio il compimento del suo nuovo comandamento, praticato eroicamente da suoi fedeli, a convincere altri ad abbracciare la stessa fede. È vero che l'amore, quando è vissuto nel modo migliore, sull'esempio di Cristo, esercita un fascino irresistibile e diventa il migliore mezzo di attrazione alla fede. Dobbiamo riflettere anche sul contrario; viene da pensare che se il cristianesimo non ha ancora raggiunto la sua migliore espressione e diffusione in questo nostro mondo, lo dobbiamo sicuramente anche alla mancanza di amore da parte di noi credenti. Quando Gesù parla della sua glorificazione, include nel suo discorso tutta la sua storia, conformata perfettamente alla volontà del Padre, include anche la sua passione. Ciò vuol dire che l'amore del cristiano passa inevitabilmente nell'arduo percorso del calvario, non si arresta, anche se ne è tentato, nella gloria e nella beatitudine del Tabor. Amore è anche sacrificio, conduce però sempre verso la pasqua, verso la glorificazione. Questa è la vera forza del cristianesimo, questa è l'energia che sgorgata dalla croce, diventa amore, diventa spesso anche passione che è però preludio di risurrezione. Buona Domenica

 

 

Sabato 17 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,7-14

Chi ha visto me, ha visto il Padre.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto».
Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta».
Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre. Come puoi tu dire: "Mostraci il Padre"? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me stesso; ma il Padre, che rimane in me, compie le sue opere. Credete a me: io sono nel Padre e il Padre è in me. Se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch'egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre. E qualunque cosa chiederete nel mio nome, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.

 

Parola del Signore.

 

 

 

“Voi siete un popolo redento, annunziate…”; è la voce del Signore che risuona all’inizio della celebrazione eucaristica. Non possiamo essere sordi a tale richiamo o far finta di non essere interpellati tutti personalmente, perché ognuno di noi ha ricevuto il necessario per compiere quelle cose grandi che il Signore ha predetto. La grandezza alla quale siamo chiamati, non fa chiasso, perché è fatta di semplici e gioiosi “sì” quotidiani, gocce di acqua dissetante per noi e per molti altri fratelli… “…quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio”. Gli ascoltatori innamorati della Verità, non accettano quel “quasi” che turba il cuore del sincero credente; superando l’indifferenza, prendono esempio dal buon Pastore e partono alla ricerca del fratello che non risponde, perché è troppo grande il vuoto che lascia. La nostra fede si fa annunzio quando non rimane “privata” e nascosta, non c’è nulla di “privato” nel Regno di Dio. Preghiera e umiltà, coerenza e coraggio, costituiscono un buon carburante per arrivare in pascoli lontani. Forse non servono tante parole…I figli della Carità sono instancabili, sostenuti dal Signore che ha detto “io sono nel Padre e il Padre è in me”. Anche noi siamo lì con Lui; se accogliamo il Signore, pane di vita, entriamo nella vita, nella santissima Trinità che è solo e sempre, scambio d’amore. Buona giornata 

 

      Domenica 18 maggio 2025 inizia il pontificato di Leone XIV . L'appuntamento è fissato per le ore 10,00, con la S. Messa solenne celebrata dal nuovo Papa in Piazza San Pietro in Vaticano.

      Il rito sottolinea il legame con l'Apostolo Pietro e il suo martirio, che ha fecondato la Chiesa di Roma, e rimarca la valenza specifica delle insegne episcopali "petrine" che vengono imposte al Papa: il Pallio e l'Anello del Pescatore.

      Il Pallio è un paramento liturgico realizzato con lana di agnelli. Revoca il buon pastore, che pone sulle proprie spalle la pecorella smarrita, e la triplice risposta di Pietro a Gesù risorto di pascere i suoi agnelli e le sue pecorelle.

     L'Anello del Pescatore ha la valenza specifica dell'anello-sigillo che autentica radicalmente la fede, compito affidato a Pietro di confermare i suoi fratelli.

    Preghiamo per il Papa Leone XIV, affinché il suo ministero sia fecondo di grazie per il popolo santo di Dio affidato alle sue cure; e il popolo sia docile ai suoi insegnamenti.

Venerdì 16 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,1-6

Io sono la via, la verità e la vita.


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: "Vado a prepararvi un posto"? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via».
Gli disse Tommaso: «Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?». Gli disse Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

Parola del Signore.

 

 

 

Dai versetti del vangelo di oggi traspare con forza il sentimento di profonda tenerezza di Gesù; la sua sollecitudine piena di amore per coloro che  lascerà e che forse saranno in balìa del dubbio e del turbamento. Egli vuole consolarci. Molte volte Gesù ci ha ripetuto: non abbiate timore, non temete... Sempre la sua presenza comunica ai nostri cuori pace profonda. Egli ci dice: abbiate fede in me, e più avanti ci ripeterà «Io ho vinto il mondo». La fede è la nostra forza, è il dono di Dio ai suoi figli, è la vita di grazia innestata in noi dal battesimo. La virtù della fede in Cristo ha la capacità di spostare le montagne dell'orgoglio e della sufficienza umana per far posto alla consapevolezza del nostro essere figli di Dio, ad un dialogo continuato di amore fiducioso con Lui, nostro Padre. Su questa terra, il nostro vero luogo di pace e completezza umana è nella fede in Gesù Cristo nostro tutto, cioè nostra Via, Verità e Vita. Se ora ci lasciamo trasformare da questa «logica» divina, saremo conseguentemente accolti nella Luce e nella Vita eterna. Il nostro «posto» sarà stato preparato da Chi «tutto guarda e tutto prende nelle sue mani», da chi indicandoci la via, l'ha vissuta e mirabilmente e ampiamente aperta per ciascuno di noi. Buona giornata

 

Giovedì 15 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 13,16-20

Chi accoglie colui che manderò, accoglie me.


[Dopo che ebbe lavato i piedi ai discepoli, Gesù] disse loro:
«In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.
Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma deve compiersi la Scrittura: "Colui che mangia il mio pane ha alzato contro di me il suo calcagno". Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io sono.
In verità, in verità io vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Parola del Signore.

 

“In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone”. Per tuo dono, Signore, siamo quello che siamo: ci hai donato la vita, ci hai permesso di alzare gli occhi al cielo e di chiamare Padre chi è infinitamente più grande di noi… Siamo stati pensati e plasmati dalla Misericordia, ne siamo figli, eppure le somigliamo poco! La Misericordia si mette al servizio dell’uomo, perché lo ama, e con spontaneità e generosità parla al suo cuore. La Verità abita dove c’è la Misericordia; la pace regna dove alla Misericordia è lasciato lo spazio necessario per dilatarsi ed esprimersi liberamente; la luce illumina le menti quando la Misericordia è riconosciuta e accettata come realtà nella quale siamo immersi… Sì, siamo immersi in essa come quei piedi immersi nell’acqua purificatrice agitata dalle mani del nostro Signore, che non si è risparmiato di chinarsi per elevare la nostra dignità. Egli ci ha indicato più volte la beatitudine dei poveri ed umili di cuore, di coloro che come Lui servono gratuitamente e meritano di sperimentare la gioia profonda e liberatrice del dono di sé. Buona giornata

 

 

Mercoledì 14 maggio 2025, Festa di San Mattia, Apostolo

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 15,9-17

Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamato amici.

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».

Parola del Signore.

 

 

Con Gesù si è riversata nel mondo la carità trinitaria: l’amore eterno che il Padre ha per il suo Santo Figlio lo ha generato anche come uomo e ha impregnato la sua esistenza umana, a mano a mano che essa si evolveva nell’obbedienza: “Io osservo i comandamenti del Padre mio, e rimango nel suo amore”. A ogni obbedienza del Figlio la carità del Padre impregna maggiormente il mondo, tanto più che il contenuto dell’obbedienza che gli è chiesta è esattamente questo: coinvolgerci come figli, nel suo stesso amore di Figlio. È qualcosa che è accaduto prima di noi e attorno a noi, qualcosa per cui siamo stati “scelti”: come un mare avvolgente nel quale dobbiamo restare immersi. E l’amore che dobbiamo al nostro prossimo non è un comandamento faticoso che ci raggiunga dall’esterno, ma è il rispetto della santa “prossimità” di Dio: è il Figlio di Dio che si è fatto nostro prossimo umano, ed è da lui che ogni altro fratello trae la esigente prossimità che merita il nostro amore. Buona giornata

 

 

Martedì 13 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,22-30

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Parola del Signore.

 

 

 

Gesù rivelandosi a noi nella sua persona umano-divina ci si è fatto conoscere come l’inviato del Padre per la nostra salvezza. Si è posto nei confronti dell’umanità e di ogni uomo come il pastore buono, che ama, protegge e guida le sue pecore, è disposto a dare la vita per ognuno di esse. Si è chinato dinanzi alle sofferenze umane per assumerle su di sé, per condividerle, per confortare e guarirle. Si è posto dinanzi al peccato come perdono, dinanzi alla morte come risorto. Ha offerto a tutti segni evidenti perché lo riconoscessero come Figlio di Dio, come Messia e Salvatore del mondo. Eppure tra i suoi interlocutori, tra gli stessi testimoni dei suoi prodigi, tra gli stessi apostoli, e dopo di loro fino ai nostri giorni, c’è sempre qualcuno che non vuole credere. Gesù proclama oggi il motivo dell’incredulità: «Non siete mie pecore». Quel maledetto orgoglio, che ci ha rovinati sin dal principio, riemerge continuamente ad oscurare gli occhi dell’anima per privarci della verità. Essere sue pecore significa per noi assumere un atteggiamento di verità, di docilità e di umiltà, significa deporre l’orgoglio, che ci spingerebbe a cercare in modo autonomo i nostri pascoli, le nostre strade, le nostre sicurezze e convincerci invece che abbiamo bisogno di una guida, di un pastore, di una protezione sicura e costante. Risuona ancora nel mondo la domanda: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Tutto è già stato detto “apertamente”, tutto è compiuto, il pastore ha dato la suprema testimonianza di amore, ha dato la vita, ha ricomposto il gregge nell’ovile, ha garantito la sua presenza, donandosi come cibo e bevanda di salvezza, eppure ancora quanta incredulità, quanto orgoglio, quanta presunzione nell’uomo. Troppe sfide lo scoraggiano ad assumere la veste di pecora, troppi lupi rapaci si aggirano intorno all’ovile per spargere paura. Troppi schiamazzi assordanti impediscono di ascoltare la voce suadente del pastore. Gli stessi pastori, anch’essi spaventati, talvolta fuggono come mercenari e il gregge si disperde e i lupi rapaci entrano nell’ovile a fare strage. Ciò accade per mancanza di fede nel Pastore; non siamo ancora consapevoli della sua umile potenza; forse siamo tentati ancora di preferire un “capo” ad un umile pastore, egli però è il Figlio di Dio! Buona giornata

 

Lunedì 12 maggio 2025

 

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,1-10

Io sono la porta delle pecore.

In quel tempo, Gesù disse: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».

Parola del Signore.

 

 

“Le pecore affamate alzano la testa e non vengono nutrite”. Questa è la critica di Milton ai pastori del suo tempo. Uno dei salmi più belli, scritto con estrema raffinatezza formale, è quello che enumera le virtù del Buon Pastore. È una poesia “universale”, che parla a tutti: consola gli afflitti nella loro disperazione, e incoraggia le persone sole nel loro isolamento. Il Vangelo suggerisce che il Buon Pastore è raro. La sua vocazione è pericolosa. La sicurezza delle pecore è la sua sola preoccupazione ed egli darà la vita per salvarle. Ciò ridefinisce il ruolo di ogni guida: a questa prova molti risultano incapaci. Il nostro secolo è il secolo del “cattivo pastore”: conserviamo ancora le pietre carbonizzate dei campi in cui milioni di uomini furono asfissiati. Cristo parla sempre del suo ruolo di pastore: non è venuto per essere servito, non è venuto per trattare le persone con arroganza; è venuto per salvare le sue pecorelle e per morire per loro. Buona giornata

Domenica 11 maggio 2025, IV° di Pasqua

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10,27-30

Alle mie pecore io do la vita eterna.


In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

Parola del Signore.

 

L’immagine del pastore e delle pecore è frequente nella bibbia sin dall’antico testamento. Nei Primo libro dei re, per descrivere uno stato di desolazione e di sbandamento del popolo eletto leggiamo: «Vedo tutti gli Israeliti vagare sui monti come pecore senza pastore» e il profeta Zaccaria in una situazione analoga dice: «Vanno vagando come pecore, sono oppressi, perché senza pastore». Un salmista invece, volendo predire la sorte di coloro che confidano in sé stessi e non nel Signore, che si affidano al proprio orgoglio, così si esprime: «Come pecore sono avviati agli inferi, sarà loro pastore la morte». Nel libro di Giuditta, nel suo primo incontro con Oloferne, leggiamo: «Tu li potrai condurre via come pecore senza pastore e nemmeno un cane abbaierà davanti a te». Gesù ricorre spesso a queste stesse immagini, molto familiari ai suoi ascoltatori. Egli si commuove dinanzi alla folla: «Perché erano come pecore senza pastore». Anche nel giudizio finale riappare la figura del pastore e delle pecore: «E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri». Gesù oggi si proclama pastore, che conosce le sue pecore. Queste a loro volta conoscono la voce del pastore buono, è per loro una voce amica, è la loro guida ai pascoli migliori, si sentono da lui protette. Si instaura una relazione di amicizia, un autentico rapporto di amore. I presupposti sono la docilità nell’ascolto della voce divina da parte delle pecore e la cura amorosa da parte del pastore; una cura che significa per Cristo il dono della vita. Siamo così nelle mani di Dio e nessuno può rapirci dalle sue mani perché dice Gesù: “Io e il Padre siamo una cosa sola». Il dono finale è per noi la vita eterna, l’approdo alla mèta ultima della nostra vita. È il frutto della redenzione, è la nostra Pasqua da vivere nel tempo e attendere nell’eternità”. Buona Domenica

 

Sabato 10 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,60-69

Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.

 

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

 

Parola del Signore.

 

Che dinanzi al discorso del Pane di vita entrassero in crisi i giudei, dichiarati nemici di Cristo, potrebbe anche risultare comprensibile, anche se sempre colma di amarezza il rifiuto di un dono dato con immenso amore. Oggi Gesù sperimenta il mormorio esteriore ed interiore dei suoi discepoli: “Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?”. Egli interviene ancora per cercare di illuminare le loro menti: “È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita”. Non si tratta quindi di cannibalismi, ma di assumere, nel pane e nel vino, lo Spirito che dà vita, la divinità, l’amore, la santa energia che ci rigenera. Se si rimane ancorati alla fisicità della carne e del sangue e non si è capaci di trascendere con la luce della fede per vederne i valori eterni, l’eucaristia non può essere compresa. Nei segni sacramentali noi scorgiamo la pienezza dell’amore di Dio, che non è più solo dichiarato ed offerto con la verità delle sue parole, ma nella carne e nel sangue del figlio suo, immolato per noi e per tutti, per la remissione dei peccati. Soltanto l’esperienza ci può convincere della sublimità del dono e solo quando sentiamo realmente Cristo in noi diventiamo capaci di squarciare i veli del mistero eucaristico. Molti dei suoi discepoli però abbandonano Gesù: la sua dottrina non è più accessibile alle loro menti, la sua stessa credibilità viene messa in gioco. Rimangono i dodici, ma anche a loro il Signore, chi sa con quanta sofferenza, deve rivolgere un interrogativo: “Forse anche voi volete andarvene?”. Queste parole, che risuonano come il flebile lamento dell’amore incompreso, denunciano tutti gli abbandoni e tutte le assenze che, nel corso dei secoli, i “suoi” avrebbero fatto nei confronti della sua mensa divina. È l’amara delusione dello sposo che non vede arrivare gli invitati al banchetto delle sue nozze, che non vede entrare nella sua chiesa coloro che si professano cristiani; rimangono fuori, digiuni e affamati. È sicuramente consolante per Cristo la confessione di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”; in questo contesto però, e non a caso, Gesù ricorda agli apostoli il privilegio per essere stati scelti da lui, ma denuncia anche il tradimento di uno di loro. Può capitare che il primo assente dalla mensa sia proprio il celebrante! Buona giornata

 

 

Venerdì 9 maggio 2025

Benvenuto al nuovo Papa Leone XIV

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,52-59

La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.

 

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Parola del Signore.

 

 

Per chi non comprende, alla luce della fede, i significati reconditi dell’invito di Cristo a mangiare la sua carne e bere il suo sangue, gli interrogativi diventano pressanti ed ogni spiegazione risulterebbe inutile, paradossale e scandalosa. Gesù però, dinanzi alle discussioni dei soliti giudei nella sinagoga di Cafarnao, non intende minimizzare affatto il suo messaggio, anzi lo rende ancora più incalzante: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno». Non c’è più scampo ad equivoci: è questione di vita o di morte; la vita del mondo, la vita di ogni uomo è ormai indissolubilmente legata a quel cibo divino. E non solo la vita presente, ma anche la nostra eternità e la nostra risurrezione dipendono ancora da quell’intima comunione che Cristo vuole stabilire con ognuno di noi. «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui». Dimorare in Dio, essere certi che Cristo vive in noi, deve dunque diventare la suprema aspirazione dell’uomo; il Signore Gesù paragona la comunione che intende stabilire con noi con quella di cui egli stesso gode con il Padre celeste. Si tratta quindi di una comunione piena, di vita, di amore, di condivisione intima e totale. Credo che questo contrasti notevolmente con le nostre comunioni spesso episodiche e fugaci. Anche il nostro linguaggio ci tradisce: noi siamo soliti dire che facciamo la comunione e raramente osiamo esprimere l’impegno cristiano di stare in piena comunione con Cristo in modo stabile, continuo, crescente. Dobbiamo ammettere che siamo ben lungi da quanto Cristo ci propone in campo eucaristico: la dottrina che l’evangelista Giovanni ci va offrendo in questi giorni ci rende sempre più consapevoli di come e quanto sia stata svilita nei suoi valori essenziale e vitali. Forse proprio in questa mutilazione dottrinale e pratica troviamo la spiegazione delle numerose e prolungate assenze di tanti cristiani dalle nostre Messe. Non siamo ancora riusciti a far comprendere l’intimo legame che Gesù voleva stabilire con la vita di ciascuno di noi. È ancora, per nostra colpa, assente dal mondo, dalle nostre vicende, dalle nostre storie… è ancora chiuso nei tabernacoli o relegato nei cieli! Buona giornata

 

 

Giovedì 8 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,44-51

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo.


In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: "E tutti saranno istruiti da Dio". Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

Parola del Signore.

 

 

Anche il bambino, appena capace di esprimersi e muoversi in modo autonomo, tenta di scrollarsi dalla mano della mamma per iniziare da solo le sue piccole grandi imprese. Essere liberi ed autonomi fa parte delle conquiste importanti della vita. Tutto ciò vale solo relativamente. Gesù infatti ci ammonisce: “Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre”. La forza misteriosa con cui il Padre ci attira a sé e al suo Figlio unigenito è l’amore dello Spirito Santo. Ci viene così rivelato che il cristiano e chiamato a vivere nella comunione della Trinità. Siamo poi paternamente ammoniti che le imprese dello spirito, quelle che ci conducono a Dio, non possono essere realizzate con le sole energie umane. La scoperta o riscoperta della paternità divina ci conduce a Cristo, la conoscenza di Cristo, alimentata dall’Amore, ci unisce poi al Padre. La fede in Cristo e la conoscenza della sua opera di salvezza ci rendono certi di poter aspirare alla vita eterna. Le verità rivelate, che Gesù ribadisce per noi, danno nuovo vigore alla nostra fede, le sue verità ci nutrono, ma la via privilegiata per sentire realmente Dio con noi, è il pane di vita. Gesù vuole toccare il nostro cuore, la nostra mente, la nostra anima, ma vuole coinvolgerci direttamente in tutta la nostra realtà umana, sia fisica che spirituale. Dobbiamo mangiare il suo corpo, perché la sua carne divina si fonda con la nostra e il suo sangue fluisca nelle nostre vene. Così possiamo riacquistare la nostra somiglianza con Dio, anzi la possiamo vedere ulteriormente esaltata. Le nostre persone, anima e corpo, diventano tempio sacro in cui abita la divinità, perché assimilati a Cristo, alla sua persona umano divina. Gesù lega la vita del mondo al nutrimento celeste che ha voluto lasciarci come garanzia della sua presenza, come fonte di vita vera. Dovremmo concludere che se episodi di morte e di violenza ancora ci opprimono dipende dall’assenza di Cristo, decretata da noi, e dal mancato nutrimento del suo pane. L’alternativa che si pone è di fondamentale importanza: o la vita con Lui o la morte in tutte le sue funeste manifestazioni. Una scelta che già avremmo dovuto fare da secoli! Buona giornata

 

 

"Extra 0mnes!"

Dopo giorni di preghiere e di trepidante attesa, è finalmente arrivata l'ora del conclave. L'ora in cui i cardinali elettori sceglieranno l'uomo che guiderà la Chiesa, il successore di Pietro, il Vicario di Cristo. Con tutta la Chiesa siamo invitati a pregare lo Spirito Santo perché ispiri e muova il cuore degli elettori a scegliere il pastore "di cui la Chiesa e l'umanità hanno bisogno in questo tornante della storia tanto difficile complesso e tormentato" (dall'omelia "Pro eligendo Romano Pontefice, del Card. Re). Noi, comunità di San Giacomo di Piumazzo, lo faremo questa sera nella S. Messa delle ore 20,00.

Mercoledì 7 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,35-40

Questa è la volontà del Padre: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna.


In quel tempo, disse Gesù alla folla:
«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai! Vi ho detto però che voi mi avete visto, eppure non credete.
Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».

Parola del Signore.

 

 

“Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò…”. Il Signore, buon pastore, non può respingere le sue pecore che, disperse per i pascoli, sono richiamate ad entrare nell’unico ovile che protegge e rassicura… Il Signore, pane di vita, non può sottrarsi alla mensa alla quale accorriamo affamati… se anche siamo scomposti e maldestri, abbiamo in noi la grazia della fede, dono che sostiene la nostra preghiera, che ci fa comprendere che il Signore è seduto accanto a noi, per volontà del Padre e per suo desiderio ardente. Lo Spirito ci comunica queste verità, ci conduce come Chiesa attraverso situazioni che non possono trovarci silenti e privi di bene: come vera famiglia radicata in Cristo siamo chiamati ad andare di paese in paese per diffondere la sua parola, a prostrarci cantando inni al Signore, ad esortare per vedere e lodare insieme il suo mirabile agire sugli uomini. Siamo eredi di una forza di amore e di donazione che ci rende vivi; “Dio ci ha salvati mediante un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito santo, effuso da lui su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro, perché giustificati dalla sua grazia diventassimo eredi, secondo la speranza, della vita eterna”. Tutto è divenuto prezioso per il dono che Cristo ha fatto di sé, e tutto possiamo rendere prezioso se anche noi ci doniamo come carne che si consuma per nutrire la Chiesa. Vi fu grande gioia nell’ascoltare la voce dello Spirito e ancora oggi può esserci se rispondiamo ai richiami che ci invitano a superare il nostro limite, se, come i discepoli di un tempo, vediamo il Signore che colma il cuore di gioia. Dio Padre ci ha consegnato a Cristo che con il suo braccio legato al nostro, ci strattona nella corsa sulla pista della croce; … “questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell’ultimo giorno”.

 

 

Martedì 6 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,30-35

Non Mosè, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo.

 

In quel tempo, la folla disse a Gesù: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: "Diede loro da mangiare un pane dal cielo"».
Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane».
Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Parola del Signore.

 

«Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Cristo Gesù è il segno del Dio vivente, l’immagine visibile del Padre. In questi giorni lo contempliamo risorto e già sappiamo che egli ha compiuto fino in fondo l’«opera» della nostra redenzione. Nessun segno è però efficace per chi non vuole credere; si diventa capaci di rinnegare l’evidenza e di stravolgere la verità anche quando è proclamata dallo stesso Signore. È l’eterno problema di tutti coloro che vogliono le opere e i segni divini realizzati secondo le dimensioni della ragione umana e ciò perché colpevolmente incapaci di vedere con l’occhio della fede. La stessa lettura della Parola di Dio diventa motivo di contestazione delle sue eterne verità. I segni e le opere di cui parla l’evangelista Giovanni vanno letti alla luce della fede e servono ad alimentarla ed accrescerla. La manna nel deserto era solo una figura di una realtà che troverà proprio in Cristo la piena attuazione: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Cristo si proclama «Pane vero» e «Pane di Dio» perché con la sua opera, con la sua venuta tra noi, ha sfamato definitivamente l’umanità, dando la vita per noi. Si è lasciato letteralmente divorare dalla ferocia degli uomini, immolandosi come vittima sull’altare della croce per darsi poi per sempre sugli altari del mondo. Sei ci riscopriamo ancora affamati, vittime delle nostre brame, invasati dalle nostre rabbie è perché restiamo digiuni di quel pane di vita, che rimane rinchiuso e carcerato nei tabernacoli delle nostre chiese. La promessa di Gesù conserva integra la sua validità: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete». Questo è il segno per eccellenza, questa è la fonte inesauribile della nostra interiore vitalità, solo Lui può saziare la nostra fame e la nostra sete. Per Lui tutto è già compiuto, per noi ancora è l’ascesa, ma con la forza del suo pane. Buona giornata

 

 

Lunedì 5 maggio 2025

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,22-29

Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna.

Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, vide che c'era soltanto una barca e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma i suoi discepoli erano partiti da soli. Altre barche erano giunte da Tiberiade, vicino al luogo dove avevano mangiato il pane, dopo che il Signore aveva reso grazie.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».

Parola del Signore.

 

 

Nel Signore risorto l’umanità è riportata alla speranza, speranza eterna, che a causa del peccato si era spenta. L’avvenimento della Pasqua riguarda tutti gli uomini. In Gesù tutti ritrovano il senso compiuto della loro esistenza. Questa speranza cresce ogni volta che celebriamo e riceviamo il sacramento di salvezza: l’eucaristia, dove la Pasqua di Gesù si ripresenta e diviene efficace. Nella prima lettura incontriamo il diacono Stefano. Opera in lui la forza, la grazia e il potere di Gesù risorto, con il quale è crollato l’antico mondo dei segni sacri. Gesù è il nuovo luogo sacro (tempio, altare, sacrificio, sacerdote), il compimento delle antiche tradizioni. Purtroppo, la testimonianza coraggiosa e chiara di Stefano non suscita accoglienza ma reazione. È il terribile mistero della nostra libertà che si può opporre all’annunzio del vangelo. È Gesù Cristo che dobbiamo accogliere nella fede. Chi crede, già assimila Gesù come Pane di vita. Buona giornata

 

 

Domenica 4 maggio 2025, III° di Pasqua

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 21,1-19

Viene Gesù, prende il pane e lo dà loro, così pure il pesce.

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

 

Parola del Signore.

 

 

 

Stiamo vivendo il tempo di Pasqua, tempo di grande gioia, di gioia perché il Signore è risorto, non solo è risorto… ma perché è presente, è vivo in mezzo a noi. La Chiesa vive, noi che siamo la Chiesa viviamo della fede in Gesù, Gesù risorto. E non è soltanto la comunità di coloro che condividono gli insegnamenti dottrinali di Gesù o gli insegnamenti morali di Gesù, che ammirano gli esempi di Gesù. La Chiesa tutta crede che Dio Padre ha risuscitato Gesù, e lo ha fatto “Capo e Signore”. Ma come possiamo riconoscerlo? Come possiamo sentire la sua presenza, sentire la forza del suo Spirito nella nostra vita? Come possiamo testimoniarlo? Alcune domande che è lecito fare. E la risposta, mi pare, una precisa risposta ci dà proprio il Vangelo di oggi, lo fa con l’affermazione stupita, meravigliata del discepolo che Gesù amava, Giovanni: «è il Signore!». Il Vangelo che oggi ascoltiamo ci presenta sette discepoli; tutti insieme, vanno a pescare, vanno sul mare di Tiberiade. Niente di nuovo si direbbe, fanno quello che hanno fatto tante volte, quello che hanno fatto prima di aver incontrato Gesù. Compiono un gesto per loro usuale, quotidiano, gesto in cui mettevano tutta l’esperienza, tutta la loro passione, di tanti anni. Tante volte avranno sperimentato la gioia di una pesca abbondante. Ora, questa notte provano delusione perché questa volta la rete è vuota. Non hanno preso nulla. I discepoli hanno lavorato, faticato tutta la notte: questo vale per tutti i discepoli, pensando sia alla fatica fisica, sia a quella spirituale, la fatica che accompagna le nostre opere e i nostri giorni. Non solo c’è la fatica, ma anche il senso di delusione; alla fatica, all’impegno non corrisponde un risultato: in quella notte non presero proprio nulla. E nel pieno della delusione e della stanchezza compare una voce, voce che sembra conosciuta, una parola, una parola che invita a riprovare, che intende risvegliare i loro animi, risvegliare ad una fedeltà, ad una fiducia, ad un’apertura alla promessa di Gesù, del Signore che dice: «Buttate ancora le reti, riprovate ancora». I discepoli potevano cedere, cedere alla stanchezza, cedere alla delusione. Invece obbediscono, si fidano alla parola che viene pronunciata, la parola sulla loro vita, gettano, ancora una volta la rete. Si fidano, si abbandonano alla parola del Signore. Ed ecco, il miracolo si compie. E nel segno del miracolo sentono la presenza del Signore, del Risorto che non abbandona i suoi discepoli ma sempre li accompagna, che è sempre con loro nel loro cammino di vita e di fede. Le reti sono piene di pesci e reggono, non si spezzano, i cuori sono ripieni di gioia e di meraviglia e reggono anche essi, reggono l’impatto di un incontro non programmato con Gesù eppure atteso, tutti volevano rivederlo, risentirlo, toccarlo di nuovo, mangiare ancora con lui… E lui, il Signore asseconda, esaudisce ancora quell’attesa del cuore, dell’anima… Ed ancora prepara loro da mangiare, spezza ancora il pane per loro, lo distribuisce… Questo nel vangelo… Ma noi crediamo che la stessa cosa avviene anche per noi… noi crediamo che anche per noi durante la Messa, durante la Celebrazione Eucaristica domenicale, alla quale arrivano tanti, anche noi, qualche volta stanchi, delusi per le nostre reti vuote, per non aver prodotto, combinato molto in questi giorni, ecco, nonostante questo sulla sponda del lago c’è sempre qualcuno che ci aspetta, c’è sempre qualcuno che ha qualcosa per noi, che ci sfama, che ci incoraggia, che ci sostiene, che ci dà forza… È questo qualcuno è Gesù che ancora spezza il pane per noi, che per chi parteciperà alla messa, lo spezzerà ancora per noi. Chiediamo che questa esperienza, l’esperienza della benedizione di Dio la benedizione sulla nostra vita, la vita che sempre si rinnova e ci rinnova, ci rinnovi alla speranza, a quel coraggio che fanno di noi, uomini poveri, ma ricchi di lui, e testimoni del Vangelo. Buona Domenica

 

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