Secondo Pellegrinaggio

Verso i Santi e i Santuari della Campania

19-28 Agosto 2007

Domenica 19 Agosto 2007

PIUMAZZO – NAPOLI – ACERRA (in treno e auto) 

Sul treno Eurostar per Napoli, siedo a fianco di una gentile signora in viaggio con la famiglia. Ho modo di osservare la continua e dolce premura verso i suoi: “Hai sete?”,” Hai fame?” , “Vuoi che abbassi la tenda?”, “ Ti vado a comprare qualcosa?” ,“ Sei stanca?” Oltre il bene materiale che vuole offrire, traspare l’affetto del cuore. Penso che sempre Dio con noi ha questa premura, confermata dalla lettura dell’ultimo giorno, nella messa a Montevergine, a chiusura del Pellegrinaggio:

Sono stato in mezzo a voi come una madre amorevole” I Tess. 2,8

In Stazione a Napoli mi aspetta Jasmin, Tina, Clelia, con i loro amici Massimo e Rita, e le bimbe Francesca e Angela. Hanno in programma di farmi visitare il Parco Virgiliano a Posillipo. E’ veramente un incanto! Dalla cima di quel promontorio, la vista spazia su tutto il Golfo, sulla città di Napoli, il Vesuvio, la Penisola Sorrentina, Capri, Ischia, Procida, capo Miseno e isola Nisida. Abbiamo il tempo di visitare anche il lungomare Caracciolo. Un tramonto dolcissimo, una pizza napoletana verace, la compagnia di due belle famiglie, chiude la prima giornata in terra campana.


Lunedì 20 Agosto 2007

ACERRA – CASAPESENNA – PIETRELCINA

(in auto con Jasmin, Tina, Clelia e Maddalena)

 Mi sveglio presto nella cameretta dove dormiva Tina da piccola. Sento subito la gratitudine per l’ospitalità famigliare di mamma Maddalena, che mi accompagna alla 7,00 alla Messa. Nella chiesetta della Casa di Riposo, gestita dalle Suore Francescane di S. Antonio di Padova, Padre Fernando ci aspetta. Dopo la preghiera comune, le Suore ci accolgono in un salotto per la colazione. Qui scopro che don Fernando, già segretario del vescovo Mons. Riboldi, è un Padre Rosminiano. Siamo accesi dal comune amore per Antonio Rosmini, “ una delle menti più grandi dell’800” e grande maestro di spiritualità. Mi parla delle “Sei Massime di Perfezione Spirituale” amatissime anche dal Papa Giovanni XXIII, e promette che me le farà avere. Questo inizio di giornata è così bello che mi dico “ è sufficiente a dare significato a questo lunedì”

Tornando a casa, guardo le case, i cortili, le vie di Acerra. Tutto è molto dignitoso, ma come legato, impaurito. Maddalena mi dice che molti negozi e attività hanno dovuto chiudere a causa della Camorra. Quanto letto nel libro di Roberto Saviano si rivela puntualmente vero. Cerco di trasformare l’amarezza e il giudizio, in preghiera per tutto il popolo campano.

 

Alle 10,00 partiamo per Casapesenna. Sono ansiosissimo di vedere quel luogo e quelle persone che sono state la ragione iniziale e fondamentale di questo mio viaggio. A Piumazzo abitano tanti di qui, nel Borgo Nuovo e sempre mi parlano del loro paese, del loro parroco … Durante il viaggio, osservo l’incuria in cui versano strade e campi, invasi dalle erbacce, immondizie e incendi, specialmente negli incroci e nei sottopassi. A S. Cipriano l’ingresso del paese è segnato da un monumento a Giovanni Paolo II, innalzato in occasione della sua visita. Casapesenna è un paese molto grande, del quale sembra di non cogliere mai la fine e i contorni; la tristezza dei rifiuti nelle vie, si coniuga allo splendore degli addobbi per la Festa Patronale di S. Elena e B.V. Assunta. Mai ho visto luminarie così grandiose! A confronto di queste, le nostre fanno proprio ridere. In chiesa si celebrano i matrimoni: fiori e ornamenti sono di un lusso e una ricchezza assoluti, così gli abiti degli sposi e di tutti gli invitati. C’è l’orchestra e una soprano che canta un brano di Ennio Morricone. Essendo il parroco occupato, approfittiamo per fare visita al Tempio, il Santuario a “Mia Madonna Mia Salvezza” opera di don Salvatore Vitale, fondatore dei Missionari della Piccola Casetta di Nazaretn; conta un centinaio di consacrati, per l’assistenza dei poveri e il culto al Santuario. E’ una costruzione moderna, gioiosa, con sovrabbondanti decorazioni in gusto napoletano (bianco, oro e celeste). Ma la cosa più bella è la cura, e la presenza di visitatori, per la preghiera e i sacramenti. Ho pregato per il futuro dell’Opera. Incontrerò in questo viaggio tanti Ordini e Istituti: Domenicani, Redentoristi, Passionisti, Benedettini, con una grande storia alle spalle, in conventi belli ma semideserti, che svolgono fedelmente il loro dovere, ma sembrano portare un peso più grande di loro e tentati da una sottile rassegnazione. Nelle mie preghiere invocherò spesso lo Spirito di santità, su tutta la chiesa, quel fuoco che Gesù è venuto a portare e vorrebbe fosse subito acceso.

Per nulla rassegnato é don Luigi, parroco di Casapesenna, una figura splendida, nell’animo e nelle opere. Tornati in paese lo incontriamo, commossi alle sue parole e l’accoglienza cordiale e concreta. Arrivano in sacrestia la famiglia Riccardo e Fontana di Piumazzo , con Antonio, Maria e le sorelle. Insistono perché andiamo a casa loro, a salutare le rispettive mamme, i famigliari e vedere la casa nuova. E’ stato bello incontrare un pezzo di Piumazzo in questo luogo.

 

Pomeriggio a Pietrelcina nel paese natale di Padre Pio. Il beneventano è una terra di colline, ampie e rotondeggianti; paesini puliti e curati. Il centro delle visite sono “le case” della famiglia Forgione. Ho pensato che la santità nasca dalla bellezza. Il luogo è tanto grazioso da sembrare finto. Molti pellegrini in preghiera al luogo dove il Santo è nato e dove ha ricevuto il Battesimo e celebrato la prima Messa.

 

A cena ci aspettano Massimo e Rita, con freselle, “puparurilli ru’ ciummo’” polpette di granchio, di carne, melanzane, olive, pomodori e mozzarelle. Oltre alla generosa ospitalità, ho modo di ringraziare il Signore per questi due giovani sposi, amici di Jasmin e Tina, che hanno dedicato la vita al Signore, alla famiglia e alla chiesa “ che per noi sono la stessa cosa”! Domani inizia per fortuna il cammino, così il pellegrino goloso potrà smaltire le calorie in eccesso.

 

 

Martedì 21 Agosto 2007

ACERRA – MADONNA DELL’ARCO – TORRE DEL GRECO – POMPEI. 47 km (28 km a piedi, 19 km in treno)

 

Alle 6,00 in punto, partenza a piedi con Tina verso il Santuario di Madonna dell’Arco

E’ l’alba, il cielo é sereno e fa caldo subito. Fino a Pomigliano d’Arco c’è una ciclabile, ed è bello cominciare così, sereni, il cammino. Un po’ di rosario, un po’ di silenzio, un po’ di conversazione, il tempo passa lieto e veloce. Si assapora subito la sapienza del tempo rallentato, del rapporto fisico con la terra; mille particolari colgono gli occhi, le narici, la pelle. Stiamo vivendo!

A S. Anastasia una leggera pioggerellina fa affrettare i nostri passi, ma smette subito e verso le 8,00 siamo già dentro al Santuario. La Messa é alle 8,30 perciò abbiamo tempo di riposare, riassettarci, pregare. Siamo a fianco, Tina ed io; gli zaini ci rendono complici, il sudore ci unisce; due suore pensano che siamo padre e figlia e rimangono interdette quando mi vedono andare in sacrestia e uscire con gli abiti del celebrante.

Dopo la messa arriva Jasmin con Clelia e ci salutiamo al tavolo di un bar per un’ottima colazione. Loro tornano a casa e io proseguo solo il mio cammino. E’ stata bella la condivisione col mio Accolito. Ringrazio il Signore per questa bella famiglia che tanto collabora a Piumazzo, e che con la mamma mi ha ospitato con tanto amore.

 

Il Cammino prosegue in una stradina solitaria, diretta in alto verso il Vesuvio; inizio il primo rosario, tutto per i miei ospiti e per le persone che si sono affidate alle mie preghiere. Sono molto contento di essere qua. Alla fine della stradina trovo una Stazione della Ferrovia Circumvesuviana. Volendo, in mezzora arriverei alla meta della mia giornata senza fare fatica, ma non ci penso neppure un attimo a rinunciare al mio cammino. E’ quello che fa la differenza, che rende speciale questi miei giorni. Il cuore esulta quando dietro l’angolo vedo un cartellone ormai consunto, col programma festoso della parrocchia che sto attraversando. E’ dedicata a San Giacomo Apostolo! Caro san Giacomo, ti prego ogni mattina, prima di partire e tu mi proteggi sempre e mi rallegri infinitamente con le sorprese del tuo amore. Grazie mio Patrono! La strada continua e dopo Trocchia Pollena, attraverso Massa Vesuviana e S. Sebastiano. Sono in alto, spesso vedo il mare e le isole. Fa caldo e mi fermo sul sagrato di una chiesa per riposare, e mangiare qualcosa. I passanti mi prendono per un Hippy fuori tempo; ad uno chiedo informazioni sulla strada. “Per Torre del Greco occorre prendere lo stradone, dopo la rotonda, e andare sempre dritto”. La parola “stradone” mi spaventa, immaginando un largo e torrido nastro d’asfalto, e invece mi trovo di fronte un lunghissimo viale alberato, con magnifici pini marittimi che con il loro cerchio d’ombra proteggono in modo quasi continuo il camminatore nelle ore della canicola. Ringrazio il cielo di questo dono e proseguo osservando, alberi a parte, la situazione di degrado della zona, specialmente ad Ercolano. Credo sia per la vicinanza e pericolosità del Vesuvio che qui è cresciuta un’edilizia misera e semiabusiva: casette, baracche, chioschi e soprattutto sporcizia e rifiuti ovunque. E pensare che la natura ha dotato questa zona di una bellezza unica: Vesuvio, mare, pinete. Il caldo è veramente elevato e a Torre del Greco, dopo quasi 26 km di cammino e mille emozioni, impressioni, preghiere (perché anche la preghiera è un lavoro che comporta la sua fatica) sento proprio il bisogno di fermarmi. Ad una passante chiedo dove sia la Stazione per Pompei. E il buon San Giacomo me la fa trovare lì a venti metri! In più il treno parte giusto fra dieci minuti.

 

Sulla poltroncina di una carrozza semideserta e climatizzata, inizia il mio ringraziamento per questa prima giornata di cammino. Sono soddisfatto ed è bello essere accolto a sera nella Casa della B.V. del Rosario. Il treno attraversa zone dai nomi poetici: Leopardi, Villa delle Ginestre, Villa Oplonti, ma lo spettacolo che vedo dal finestrino è estremamente triste: enormi palazzoni, scalcinati, con tapparelle rotte, inferriate arrugginite, fitti, senza un albero e la solita onnipresente sporcizia. Imparerò che Torre Annunziata è una zona poverissima, con degrado e malavita. Così, alternando la gioia del riposo al dolore per quanto vedo arrivo a Pompei. La Stazione di trova a una cinquantina di metri dietro la Basilica; appena sceso, vengo avvolto da uno scenario totalmente opposto a quella di pochi minuti prima: Hotel a quattro stelle, dai nomi mitici, fanno da quinte e ingresso alla Piazza del Santuario, bellissima coi suoi prati verdi e le sue magnifiche palme e i suoi caffè con bella gente seduta ai tavolini. Dove sei Signore? Sei nelle borgate di Torre Annunziata, o qui in mezzo a questa gente elegante, che dopo le ferie fa la visita al Santuario di Pompei?

 

Entro in chiesa e sono profondamente toccato dal clima di fede che si respira. Tanta gente, in silenzio, tutti col viso e il corpo raccolti in preghiera, tutti col rosario in mano. Molti vanno a pregare sulla balaustra per essere più vicini alla Vergine e anche io sono attratto da questa preghiera intima. Mi accosto al gradino e, sarà la stanchezza, la gioia, la commozione, comincio a piangere a calde lacrime con la testa fra le mani. Penso alla mia vita, a tutta la strada che ho fatto per arrivare fino qui, ai miei parrocchiani, alla Vergine. Arriva una telefonata da Torre del Greco; Anna Marrazzo, mamma di Rosaria, desidera vedermi con alcuni suoi parenti. Che bello incontrare qui nuovamente persone legate a Piumazzo! Poi scoprirò la loro commovente storia, di testimoni della fede, pazienza, e dedizione apostolica. Sembra che la Madonna voglia dischiudermi i suoi più bei tesori! Dopo cena m’intrattengo con don Gerry e don Mario, un sacerdote di Taranto, colto e facondo parlatore, con cui tirerò tardi, alle soffuse luci di una bella piazza, in una notte d’estate.

 

Mercoledì 22 Agosto 2007

POMPEI – POSITANO

( 36 km a piedi, dislivello di 780 m.)

 

Verso le 5,00 inizio a preparare lo zaino; un rito quotidiano per avere le cose in ordine e sotto controllo; il pellegrino porta con sé tutto, perciò deve avere poche cose ed essenziali. La chiesa apre alle 6,00 ed è ancora presto. Ugualmente, per vie traverse, riesco a entrare dalla sacrestia. La Basilica é già illuminata e sono solo davanti all’altare e alla Madonna del Rosario nell’immensa aula vuota. Come è bella questa preghiera esclusiva nel giorno della Beata Vergine Regina, il 10° anniversario della mia Consacrazione nella Comunità dei Figli di Dio! Rinnovo per le mani della Vergine l’offerta di me stesso al Signore e parto felicissimo.

 

Inizia un itinerario che sarà il più lungo di tutti i nove giorni. Alcuni passanti, cui avevo chiesto il giorno primo la strada, hanno definito impossibile fare in un giorno solo, a piedi, questa traversata. Ma sono sicuro del fatto mio, e sereno. Sono partito presto per avere molte ore davanti.

Alle 7,30 entro in un bar, vicino a S. Maria la Carità, dove consumo la più squisita colazione mai fatta in vita mia. Davanti a me sta una catena di montagne, che dovrò superare; dopo tre ore di cammino sembrano ancora lì, alla stessa distanza di partenza. Sulla cartina controllo spesso il percorso e non temo di chiedere indicazioni alla gente. Attraverso Mariconda, poi dopo molto tempo Gragnano, la città che ha inventato la pasta, poi S. Antonio Abate, e finalmente mi inerpico per Pimonte. Qui verso le 11,00 comincia la crisi. La strada è incassata in mezzo alle montagne, passano molti camion coi loro soffocanti gas di scarico, sono avvolto dal fumo di boschi che bruciano, e soprattutto ho le gambe che non vanno più. Mi solleva il dono d’alcuni fichi, che una vecchietta sulla strada offre, vedendomi passare. Voglio pagare, perché lei è lì per venderli, ma non vuole assolutamente niente, anzi mi riempie un sacchetto, per avere la scorta. Mi ricorderò del suo gesto, tante volte, nelle mie preghiere. Mi fermo per mangiare qualcosa e riposare in un boschetto di castagni, dove è impossibile stendersi, per i ricci. I piedi fanno male e le spalle pure. Prendo in considerazione l’ipotesi di fermarmi qua, al primo hotel, poiché sono in anticipo di un giorno rispetto al programma. Ma il luogo non mi piace e od ogni costo proseguo.

 

Dopo Pimonte le cose vanno meglio. Il paesaggio si fa più aperto, arioso, solare, verde. E’ mezzogiorno, le auto calano. Arriva una telefonata di Tomaso, per chiedere cose riguardanti l’Asilo. Il sentire una voce piumazzese in mezzo a quelle montagne sperdute e in un momento per così difficile, mi dà una gioia immensa, e ritorna la perfetta consapevolezza del senso di quanto sto facendo, che è per me, ma non di meno per il bene dei miei parrocchiani, per i quali vanno le mie preghiere, più efficaci nei momenti di prova. Attraverso Agerola, e a Bomerano faccio una telefonata a don Giulio di Positano per annunciare il mio arrivo. La sua cordialità guarisce definitivamente il corpo e il cuore. Seduto su una panchina, vedo l’ingresso del cimitero di Bomerano. Sento che sono stati i morti ad aiutarmi, e nelle mie intenzioni da quel momento pregherò spesso anche per loro.

Al termine del paese c’è un negozio di costumi da bagno. Penso che a Positano avrò bisogno di pantaloncini decenti, ed entro per l’acquisto. La commessa, guarda, e con rispetto chiede … racconto che sono un sacerdote, in pellegrinaggio, vengo da Pompei e vado a Positano, perché, aggiungo quasi a giustificarmi, i pellegrini amano la natura …nasce un’intesa immediata, profonda, gioiosa fra di noi. Va a chiamare babbo e mamma, parliamo con affetto; porta da bere roba fresca, mi riempie lo zaino di biscotti. In un istante è sbocciata un’amicizia, un dono, e tanta umile riconoscenza.

Bomerano è collegato a Positano da un sentiero d’alta quota, lungo una decina di chilometri, chiamato il Sentiero degli Dei per i suoi panorami bellissimi. Ho trovato l’esistenza di questo percorso in internet. Già al suo inizio è entusiasmante. Ho paura che finisca presto, e mi confortaun cartello con su scritto “Sentiero degli Dei h.3.00” La stanchezza non so più cosa sia, l’orologio segna le 14,30 e mi lascio immergere in quel paradiso. Sarà un continuo su e giù fra rocce, boschetti, mandrie di cavalli in libertà, dirupi, fiordi e un meraviglioso mare tutto intorno. Ci sono punti di sosta con tavoli e panchine; vorrei fermarmi, per gustare l’incantevole scenario, ma non posso rallentare troppo. Sento che non tornerò più in questo luogo magico, ma il pensiero non mi dà tristezza, perché lo vivo in Dio.

 

Alle 16,30 sono a Nocette, un piccolo borgo arroccato sulla Scogliera, donde inizia la famosa scalinata di 1700 gradini. E’ meravigliosa, e per me, che ho alle spalle 10 ore di cammino, è terrificante. Gli scalini sono nella roccia, diseguali, alcuni anche molto alti; le mie povere ginocchia, aggravate dal peso dello zaino, non ne possono proprio più. Il luogo è incantevole, pieno di mirti, fichi d’india, oleandri. Ci sono panchine e mi fermo ogni tanto. Il mare è lì, sotto di te, sempre più vicino; Positano lo tocchi quasi con un dito. Al termine della discesa, sulla destra, contro la montagna, è incastonata un’ immagine della Madonna, tutta circondata dalle capesante del pellegrino. Commosso mi inginocchio per terra, pieno di gratitudine! Poteva esserci un “segno” più dolce? Su un muricciolo, all’ombra, mi tolgo le scarpe piene di polvere e le bacio. Controllo i piedi; sono integri e ancora ringrazio. Pian piano mi dirigo nel centro del paese a cercare la chiesa.

 

Riassettato alla meglio, trepidante, chiedo di don Giulio. E’ al telefono, occupato perché da lì a poco inizieranno le grandi celebrazioni conclusive della Festa Patronale. Sta aspettando il vescovo e attorno c’è tutta l’atmosfera febbrile di una parrocchia in festa. Sono dispiaciuto che la mia presenza crei disturbo, ma, nel profondo, ancora di più sono contento, interpretando quanto sta accadendo - e che non sapevo - come una sorpresa della Madonna e di S. Giacomo per l’anniversario della mia Consacrazione.

Don Giulio, uomo straordinario, non ha tempo di accompagnarmi in camera, allora mi fa fare la doccia in sacrestia e così, pulito e rilassato, aspetto la Messa delle 19,00. Mi vorrebbe un libro intero a descrivere la bellezza di quella serata: preghiera, Messa, col Vescovo Ernesto, sacerdoti, seminaristi, coro, processione, fuochi artificiali, concerto d’organo e una cena buonissima. Ma lascio tutto all’immaginazione del lettore. Passerò la notte in un appartamento tutto per me, con un frigo pieni di bevande fresche e gran terrazzo sul Golfo di Positano. I piedi gonfi da morire e il cuore ancor più gonfio di gratitudine.

 

 

Giovedì 23 Agosto 2007

POSITANO (giorno di sosta)

 

Mi sveglio prestissimo, per l’eccitazione e l’abitudine; dal terrazzo vedo l’alba sul mare, guardo le barche, le case e assaporo il silenzio. In quel luogo di pace e bellezza recito le preghiere del pellegrino, della Comunità, le Lodi, la Meditazione sulle Circolari del Padre, e verso le 8,00 decido di scendere alla chiesa madre. Uscendo nella piazzetta, scopro che il luogo dove ho dormito è la canonica della chiesa di S. Giacomo Apostolo! No! Non è possibile!!!! Subito fotografo la sua immagine, con cappa, bordone e conchiglia, sulla facciata della chiesa e ulteriormente entusiasmato da questa “coincidenza” scendo lieto per le scalinate di Positano. Vado pianissimo, le gambe sono dure; oggi é in programma riposo completo. Passerò tutto il giorno nella chiesa principale, bella, frequentatissima, con la musica gregoriana di sottofondo, e il mare che si vede da ogni finestra. Il cuore è raccolto in Dio, nelle sue Parole, prosegue l’intercessione per tutti i miei parrocchiani, quanti mi hanno affidato le loro intenzioni. La Madonna Regina di Positano è bellissima, e il tempo scorre veloce e intenso davanti a Lei. Don Giulio è un parroco esemplare: attivo, premuroso, sapiente, ospitale. Pur sapendo valorizzare tanti collaboratori, lui stesso non teme di prendere scopa in mano, pulire i fiori, raccogliere le sedie … e accogliere fedeli da ogni parte del mondo. Alle ore10,00 celebrerà un matrimonio, fra un francese e una bellissima ragazza di Bali, che andranno ad abitare a Londra. Stavo in fondo alla chiesa, e non mancavano preghiere per questi giovani sposi – che importa se non li conosco! – Finito il rito don Giulio mi viene ad invitare insistentemente al rinfresco. Mentre assaporo pasticcini e champagne, mi dico “ma guarda cosa capita ad un pellegrino!”.

Ad aiutare la vivace parrocchia di Positano ci sono altri tre giovani sacerdoti: Padre Abramo, carmelitano dell’India, che a Roma studia Spiritualità; Don Simone del Pakistan, che a Roma studia Dogmatica, e Don Sebastiano, del Ruanda, che a Roma studia teologia della Comunicazione. Ospite c’è Mons. Giuseppe, parroco di Somma Vesuviana e Professore di Morale in Seminario. Cuoca una bravissima signora albanese, che ha una sorella … alla Cavazzona!

 

Non mi sposto quasi mai dalla chiesa; non mi attira né spiaggia, né curiosare per le fresche stradine, in mezzo a tutta quella bella gente, e a quei deliziosi negozi di moda e gallerie d’arte. E’ un gioiello Positano, ma ancora più prezioso è il tesoro che portiamo dentro di noi e compito del pellegrino è custodirlo e farlo risplendere. Penso già al giorno dopo: sono incerto se fare tutto il tragitto a piedi, o farne un pezzetto in motonave. La strada della costiera è trafficatissima e pericolosa, inoltre lo spettacolo dal mare deve essere incantevole. Decido per la barca. Il mattino seguente, al molo, noterò commosso un segno di conferma: la motonave su cui salgo, da Positano ad Amalfi, si chiama “ Madre Maria”.

 

Venerdì 24 Agosto 2007

POSITANO- AMALFI- RAVELLO- SCALA

28 km (15 km in motonave; 13 km a piedi, dislivello 340 m.)

 

La motonave parte alle 10,00. C’é tutto il tempo di prepararsi con calma, salutare, dire le preghiere. Sulla motonave sono eccitato come un bimbo; nel caldo afoso fa piacere la brezza del mare. La nave si allontana dalla riva e individuo dal mare, il lungo percorso del Sentiero degli Dei, riconoscibilissimo. Passiamo veloci Praiano, Furore, Conca dei Marini, Grotta Smeraldo, Vettica per arrivare alla città da cui prende il nome tutta la Costiera. Amalfi è piena di folle di turisti, attirati dalla sua bellezza e anche dal grande parcheggio, in cui possono sostare auto e pullman. Le vecchie vie laterali, che è bello percorrere per arrivare al Duomo, danno l’idea dell’ antica città di mare, con osterie, botteghe, mercati. Ma l’incanto maggiore è riservato alla piazza del Duomo, con la scalinata, il campanile maiolicato e la monumentale facciata. Mi accodo alla fila dei visitatori e dopo il dolce chiostro del Paradiso, sono attratto dalla cripta, ove riposano il capo e le ossa dell’Apostolo S. Andrea. Sono commosso di potermi inginocchiare, nella Festa di un Apostolo S. Bartolomeo, sulla tomba di un altro amico di Gesù e colonna della chiesa. Medito su S. Andrea, il suo dono di fortezza, serietà, comunicabilità, soprattutto d’essere stato il primo chiamato da Cristo. E’ rappresentato con la caratteristica croce, e leggo nel breviario: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo ma Cristo vive in me” . Vedo che molti hanno seguito il mio esempio e si sono fermati a pregare davanti a S. Andrea. Dopo tanta ricchezza spirituale, riprendo lo zaino diretto a Ravello e Scala. E’ una lunga salita, in mezzo alla valle del Dragone, itinerario ameno, fra olivi e viti; ricorda un poco l’Umbria. La strada è stretta e le macchine vanno in senso alternato. Per me è molto meglio, perché le ho sempre tutte davanti, oppure tutte dietro.

 

Entro un po’ accaldato a Ravello, un delizioso paese-balcone sulla riviera, che da una altezza di circa 300 metri domina su tutto il mare. Bella la piazza d’ingresso, e il garbo riposante dei piccoli bar che la animano. Giganteschi alberi e antichi edifici fanno presagire le meraviglie che contiene: due ville monumentali, di cui visiterò solo una, ignorando l’esistenza della seconda. Villa Rufolo è il più bel posto che abbia visto in questo viaggio: giardini, portici e stanze si susseguono, fino alla spianata piena di fiori, degradante sul mare. E’ sede di un centro culturale internazionale, il RavelloFestival, con un cartellone musicale eccellente. E’ in atto una mostra della pittrice Carol Rama, la cui opera e persona mi attira e turba. Lascio verso le 15,00 questo gioiello, perché la mia meta è Scala, Casa del PP. Redentoristi.

 

In un quarto d’ora ci arrivo, mi ricompongo e suono il campanello. Apre Maria la nipote del Priore, Padre Ciro, che con somma gentilezza mi riceve, ed entro in una nuova casa per accogliere dalla grazia di Dio un’altra esperienza d’amore. Saprò ricambiarlo?

Maria, che direbbe Victor Hugo “ possiede la bellezza della bontà” offre immediatamente le chiavi dell’appartamento preparato, perché possa lavarmi e riposare. Pur concordando di rivederci poco dopo, per il caffè e soprattutto per iniziare le visite Alfonsiane, dopo la doccia mi stendo sul letto e m’addormento. Segno di stanchezza ma anche di una grande pace sentita in quella casa. Maria m’introduce nella storia spirituale, offrendomi un libretto scritto da suo zio, che leggerò tutto d’un fiato. Alfonso de Liguori, dopo la sua conversione e aver esercitato il ministero sacerdotale per tre anni a Napoli, senza risparmiarsi in alcun modo, si ritrovò in uno stato di grande debolezza fisica e interiore. Il Vescovo dunque lo mandò a Scala, pensando che la tranquillità e l’aria salubre del luogo giovassero alla ripresa del buon sacerdote. Qui si ritirava spesso a pregare “alla Grotta” un luogo suggestivo fuori paese, dove si intratteneva lunghe ore col Signore, la Madonna gli si faceva presente, piena di conforti, incoraggiamenti e illuminazioni. A Scala incontrò una santa monaca, Suor Celeste Crostarosa pure essa alla ricerca di una più chiara strada di Dio e servizio generoso. Da questo ritiro e il loro incontro nacque tutta l’Opera dei Redentoristi, sia nel ramo maschile che femminile. Da parte mia, prego bene nella chiesa “della Grotta”, dove sono venuti pellegrini molti santi, fra cui Massimiliano Kolbe. Penso che sarebbe un luogo adatto per venirci con i miei parrocchiani. Celebro la Messa assieme a Padre Ciro nella cappella della Casa, con sentimenti di fede e gratitudine; ho perfino il tempo di una visita al Monastero femminile. Sono belle le suore con il loro abito rosso-amaranto, velo nero e camicetta e scarpe bianche. Sono molto giovani, allegre e cantano la liturgia in un modo meraviglioso. Capisco il perché la loro chiesa sia tanto frequentata da gruppi giovanili.

 

Ritorno volentieri da Padre Ciro e Padre Alfonso; in casa c’é anche la mamma di Maria, ammalata, amorevolmente curata dalla figlia e dal fratello, che senza tralasciare il ministero pastorale vive pienamente questo servizio. Mai dimenticherò l’atmosfera di quella casa. Dopo un’ottima cena, prima che mi ritiri in camera, Maria ha la delicatezza di prepararmi la colazione del giorno dopo: un thermos di caffé, latte, biscotti, frutta. Buona notte mia dolce Scala. Grazie S. Alfonso di avermi chiamato.

 

 

Sabato 25 Agosto 2007

SCALA – VALICO DI CHIUNZI - PAGANI

Km 26 a piedi. Dislivello di 680 m.

 

Pagani è il luogo dov’é sepolto S. Alfonso Maria de Liguori. Da qui la sua eccellenza, e la ragione d’averlo iscritto nel mio itinerario. Non è sede di pellegrinaggi ufficiali, nessun pullman vi scarica comitive, io invece sono lieto e ansioso di portarmi alla santa tomba del Patrono dei Confessori e uno dei più grandi Predicatori Popolari della storia della Chiesa.

 

Parto come al solito prestissimo, in piena notte. Dopo il tunnel di Ravello mi si dispiega davanti tutto lo spettacolo del Golfo di Salerno, illuminato dalla luna, e dalle mille luci della Costiera. Rimango incantato, avvolto da tanta bellezza. Questo scenario mi accompagnerà per molte ore, salendo la montagna, continuamente nascondendosi e di nuovo rivelandosi. Cammino spedito, con un ordine di preghiera che è sempre ogni giorno il medesimo: prima il rosario per i miei ospiti, poi un secondo per quanti si sono affidati alle mie preghiere, poi le lodi, poi la meditazione delle Circolari del Padre, poi di nuovo rosari di ringraziamento per la felicità che provo, per la ricchezza degli incontri, per la natura e per tutto. Una volpe mi attraversa la strada: non ne avevo mai vista una dal vivo. Piò avanti sento lo scampanio di tanti greggi uscire dal folto di boschi e radure. Il paesaggio è magnifico, macchine non ne passano. Verso le 9,00 passa una corriera e accosta. Declino l’invito, pur apprezzando la gentilezza del conducente. E’ una zona molto curata, con grandi piantagioni di castagne. Poco prima delle 10,00 sono al Valico di Chiunzi e comincio la grande discesa verso l’ immensa pianura Vesuviana, distesa di case senza soluzione di continuità, né in larghezza che lunghezza. Sottilissima s’individua l’autostrada, per il movimento lineare delle microscopiche auto.

 

Alle 12,00 suono al campanello del Convento e subito Anna, la bravissima portiera tuttofare, mi accompagna nel lindo appartamentino, col mio nome scritto sulla porta, con bagno, televisore e aria condizionata. Pellegrino fortunato! In ginocchio ringrazio.

In refettorio, il priore, Padre Davide, mi serve un piatto di risotto ai funghi porcini.

Passerò tutto il pomeriggio davanti all’altare, al cui centro è esposto il corpo di S. Alfonso Maria de Liguori, sovrastato dal Tabernacolo del Santissimo. Prego con S. Alfonso, per la Comunità dei Redentoristi e per la Parrocchia di Piumazzo. Sono molto affezionato a questo Santo per la sua sapienza popolare e simpatia, che a tratti ricorda Totò, naso adunco, bocca sottile e per la sua sapienza pastorale. La chiesa di Pagani é deserta; molti grandi Santi sono ignorati, o ricordati solo a momenti; per me ora é un privilegio essere lì, solo con lui. Alle 19,00 concelebro alla Messa prefestiva con P. Alfonso Amarante, un giovane professore di Morale della Università Alfonsiana. Mi conquista la bellezza della sua predica, profonda e chiara. Pian piano fra di noi nasce una intesa fraterna e una grande gioia di esserci incontrati. Il Priore è pure lui molto giovane e sveglio. Intuisco dal suo sguardo le grandi responsabilità che porta e le difficoltà dei tempi. L’alpinista sa che talvolta l’unica via di uscita è la vetta; i problemi della chiesa si risolvono con la santità.

M’ addormento guardando alla tv il film “Piccola peste” .

 

 

Domenica 26 Agosto

PAGANI – FORINO,

38 km (24 km in bus e treno - 12 km a piedi)

 

Forino, ore 15,00: un elicottero antincendio mi sveglia dal sonno. La montagna a fianco del Convento, presso cui sono ospite, sta bruciando. E’ tutta la mattina che lo scempio della montagna che arde mi sta accompagnando. La salita che da Mortone porta a Forino, chiamata “Laura”, sarebbe un percorso meraviglioso in mezzo alla verde Irpinia, con valli fertili e ben coltivate, da agricoltori capaci e laboriosi al punto da meritare perfino un Monumento al Seminatore; ora è tutta sfregiata dalle chiazze nere e marron degli incendi. Nel salire a piedi, più che il peso dello zaino e la fatica delle gambe, deprime l’odore di bruciato, le esalazioni di fumo e la rabbia per questo delitto. Incendi a parte, la terra che sto attraversando sarebbe un paradiso, rispetto all’assolata e arida piana vesuviana.

 

Nella quiete della mia camera, ripenso alla mattina domenicale, da parroco pellegrino: la bella Messa in Basilica di S. Alfonso, alle 7,00, che mi hanno fatto celebrare da solo e in cui ho spiegato in chiave alfonsiana il vangelo: “ Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti vi dico cercheranno di entrarvi e o non vi riusciranno” sulla necessità dello sforzo personale, dolce ma continuo, e il bisogno di convertirsi a Dio subito, e aiutare gli altri a farlo, perché la salvezza non è un gioco e un giorno tutto sarà definitivo. Dopo la messa ho salutato l’ottimo giovane sacrista Peppino, che mi ricorda tanto Enrico, per la sua fedeltà e attaccamento alla chiesa, e alcune parrocchiane venute a salutare il prete di Bologna.

Mi ha colpito che a Pagani siano così scarsi i mezzi pubblici. Per andare al paese vicino, occorre fare una triangolazione, giocare di sponda, come a biliardo, secondo una logica tutta partenopea. Tutti mi avevano assolutamente sconsigliato di fare l’intero tragitto a piedi; solo chi abita qui può orientarsi nel labirinto della città. Allora occorre scegliere il modo migliore d’uscita e il più opportuno punto di avvicinamento alla meta. Parto in bus da Pagani per Nocera, dove trovo subito un treno che mi porta a Mercato S. Severino, ma volendo arriva anche fino a Mortone, a soli 12 chilometri da Forino. Quello che nel programma doveva essere uno dei giorni più difficili e faticosi, si trasforma felicemente in una tranquilla passeggiata domenicale. Il treno s’inoltra in una valle verde, con piccole montagne rocciose, dai cui fianchi si cavano le meravigliose pietre naturali, grigie, che selciano la maggior parte delle strade antiche e delle piazze e ville della zona. Forino è tutta costruita con questa pietra naturale, che deve essere anche facile a scolpirsi, date le innumerevoli decorazioni trovate.

 

Sceso dal treno, a Mortone, mi colpisce l’atmosfera domenicale di paese, le donne con la borsetta che vanno a messa; gli uomini al bar che chiacchierano e guardano, un susseguirsi di gruppi di ciclisti che scendono e salgono le strade di montagna. Nell’avel-linese c’è la cultura e il piacere della fatica. I viali alberati, le case linde, sembra d’essere in Romagna.

Arrivo a Forino alle 12,00. Non sapendo dove sia l’abitazione dei Padri, mi porto in chiesa parrocchiale dove sta finendo la messa, Assaporo quell’ atmosfera famigliare di una celebrazione eucaristica domenicale, commosso dal garbo del parroco celebrante, Padre Domenico e dall’affetto dei suoi parrocchiani. Sto per introdurmi in un’altra amorevole realtà: la Casa dei PP. Passionisti fondati da S. Paolo della Croce. Si trova fuori paese, in una zona silenziosissima, ampia, con chiesetta; priore è Padre Marco, dal vocione profondo e buono; la serve, quale fratello coadiutore, una figura angelica per umiltà e servizio: fratel Fortunato, cuoco, giardiniere e tutto fare, che il mattino seguente, alle 4,30 mi preparerà un ottimo caffè e un panino con provolone, da portarmi in viaggio nell’ultimo balzo verso Montevergine.

 

 

Lunedì 27 Agosto 2007

FORINO – MONTEVERGINE

km 27,00 a piedi; dislivello di 1200 m.

 

La partenza è stupenda, in piena notte, col cielo stellato. Come sempre, primo rosario per le persone che ho lasciato alle spalle, di cui rivedo i volti, i modi, il cuore.

La strada circondata dai monti, allegramente ventilata, è piacevole: oltrepasso al buio Contrada, poi Bellizzi e in pieno giorno sono già ad Avellino; coltivazioni di nocciole si susseguono fino alle porte della città, precedute dalla struttura del nuovo carcere; se di una costruzione simile sono consentite letture estetiche, si può dire che è bello. Una superstrada conduce a Mercoliano. L’impatto è angoscioso: macchine velocissime, strada larghissima e diritta; per fortuna è così larga che ai bordi c’é spazio per chi vuole camminare. Si vede chiaro il Santuario di Montevergine che di lì sembra vicinissimo. Lo so che non è vero, ma sono grato dell’incoraggiante inganno. A Mercoliano, dopo aver mangiato l’ottimo provolone di fratel Fortunato, compro uva e una banana. Poco dopo inizia la salita della sacra Montagna. Sapendo essere lunghissima, la prendo comoda, per non scoraggiarmi. Ho un’ intera giornata davanti e poi è l’ultima tappa. Ogni tanto mi fermo, prego, penso, scrivo. A volte si sale senza pensare proprio niente; è bello anche questo camminare in totale abbandono. Il paesaggio è sempre più bello, faggi, querce, castagni. Alle 13,00, intravedo il Santuario che è ancora molto in alto; più cammini, più lui sembra allontanarsi. Sento un’improvvisa debolezza ed entro deciso in un ristorante dietro la curva. Giorno di lusso, pellegrino goloso! Oltre al cibo discreto, soprattutto il vino, il pane e la carne, mi gratifica molto la gentilezza di padrone e camerieri.

 

Mi sento in forma e riprendo a salire. Insisto nel fatto che fisicamente sto benissimo, perché di lì a poco succederà un fenomeno tutto interiore, che avevo letto nei libri, ma a me mai accaduto. Nel salire l’ultimo tratto, invece di una gioia, magari semplice, come ogni altro giorno, sento nel cuore un profondo turbamento. L’imminenza del ritorno a casa mi fa pensare al mio ministero, che vedo tutto sbagliato, e quel che è peggio senza speranza di migliorarlo, senza via di uscita. Questo stato d’animo dura tutta l’ultima parte della salita; un po’ si attenua alla lettura di una meditazione di Barsotti, sulla santità-umiltà, sulla inopportunità di aspirazioni grandi: “che ci portano fuori dalla realtà e dalle nostre responsabilità”. Ma al fondo rimango avvolto dalla tristezza. L’incontro con la Madonna di Montevergine avviene in tale stato di prostrazione d’animo. Nulla mi sorride di quel luogo; tutto é silenzio ed estraneità. Non ho il coraggio di celebrare la messa, ma semplicemente vi ho assistito da fedele, confuso.

 

Girovagando, sono attratto dal luogo dove riposa il corpo del fondatore: S. Guglielmo da Vercelli. Davanti alla sua tomba due giovani pregano con molta devozione e sono portato ad imitarli. Non una didascalia parla di questo santo, che non conosco. Nel negozio dei souvenir trovo un vecchio librettino, aprendo il quale leggo: “ Vestito l’abito del povero romito, Guglielmo prese il bordone del pellegrino, mettendosi in viaggio verso i più celebri santuari della cristianità” A queste parole l’animo mio é come acceso. Trovo simile a me il fondatore di quel luogo. Mi sento capito, interpretato, accolto, chiamato dalla Madonna ad arrivare fino lì per incontrare un altro straordinario fratello pellegrino. Era una tentazione quel turbamento delle ultime ore. Pensai all’incontro con San Colombano, questa estate a Fanano, coi ragazzi, anche lui pellegrino per il Signore. Continua il testo: “Eccolo in cammino verso la lontana San Giacomo di Compostella. Quando si vide la città dietro le spalle, gli sembrò di essere un altro, come se una nuova vita cominciasse per lui da quel momento: era il pellegrino che andava alla ricerca di Dio”

 

Il riposo della notte, la santa Messa del mattino, che mi fanno celebrare da solo, nel giorno di S. Agostino, (le letture parlavano di amore- sacrificio e di una carità pastorale materna) la fraternità dei monaci Benedetto, Gerardo, Beda, l’affetto dei fedeli, che avevano partecipato alla messa da me celebrata, la dolcezza della Vergine, sono il congedo da quel luogo di fede e conclusione del mio Cammino.

 

 

CONCLUSIONI

Mi sono di nuovo messo per strada, per seguire una chiamata, risvegliata in me dalla spiritualità del pellegrinaggio iacopeo. Sono stato in Campania innanzitutto per visitare i luoghi di origine di molti parrocchiani di Piumazzo, con i quali ora la comunione è molto più grande, e per essere più vicino alla Vergine e ai Santi. Ho scelto di spostarmi a piedi, pur sapendo di attraversare una terra estranea a questo stile. Anche là il miracolo del cammino si è avverato, quale via speciale d’incontro, conoscenza e preghiera.

Andare a piedi non è una penitenza, ma un singolare atto d’amore e di libertà.

 

Il Pellegrinaggio è un’esperienza di comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo.

La Paternità di Dio la incontri con l’immersione nel creato e in quella mirabile opera che sei tu stesso. Cieli, alberi, mare, montagne, rocce, animali, sole, pioggia, vento, fiori, tutto è opera di Dio Padre e Creatore e te lo sta donando perché lo viva. Se cammini per ore, pregando col semplice rosario, che è come la catenella che ti unisce al Signore, che ti ha dato un corpo meraviglioso, il respiro, i muscoli, il cuore, la pelle, il sudore, i piedi e l’immenso piacere di una fatica fatta per gioco, come i bimbi che corrono perché sono felici e muovendosi accrescono la loro felicità.

 

Nel cammino si incontra Gesù Cristo soprattutto nelle persone, cui ti imbatti “per caso” ma soprattutto che ti ospitano. Nelle comunità di fede, con le quali ceni la sera, condividi esperienze e gioie, sotto il cui stesso tetto riposi, che ti hanno preparato un letto, un asciugamano, una doccia, la protezione di una casa e la dolcezza di una famiglia. In queste persone incontri Gesù Cristo e loro accolgono Gesù in te, povero pellegrino. E’ vero che ci si organizza, si telefona prima per essere ospitati, ma senti che sei sempre in balia degli altri, del loro affetto o della loro indifferenza. Questa è la povertà e umiltà del pellegrino, che sempre si trasforma in commossa gratitudine.

 

Incontri lo Spirito Santo soprattutto nei Sacramenti, nella preghiera e in quel turbinio di sentimenti che riempiono il cuore del pellegrino, anche quando per spossatezza a lui sembra d’essere completamente vuoto e spento.

Specialmente l’Eucaristia di ogni giorno.

Toglie tempo al cammino, specie nelle preziose ore del mattino, ma offre in cambio una grazia della quale nulla è pari. Nessun altra preghiera può sostituire la Messa, in una chiesa con una comunità. E attorno a questa, il rosario continuo, i salmi, e quel parlare con Dio, nella solitudine, nel silenzio, nella felicità di giorni che ti sembrano eterni e brevissimi, perché sanno d’infinito.

 

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Quello che ho fatto finora mi è sembrato solo una prova, per qualcosa di più grande che ancora non so cosa sia e quando avvenga.

Forse l’esempio dei grandi santi che ho incontrato, può dischiuderne il segreto. .

 

 

La tecnica del cammino è un mirabile mezzo di conoscenza. La lentezza, la fatica, la sua umiltà e libertà ne fanno uno strumento previlegiato di relazione, come il racconto dimostra. Anche la solitudine è un mezzo potente, che sprigiona enormi energie di attenzione, oltre che di raccoglimento. Saranno gli psicologi, o spiritualisti, o fisiologi, a spiegare il perché camminare è così bello. Dicono per esempio che il movimento lento e continuo ossigeni molto il cervello, aumenti l’ormone antidepressivo, portando il corpo e l’animo in un elevato stato di benessere, disponibilità e buon umore. Per chi prega è più facile il raccoglimento e la concentrazione.

 

Il camminatore è un turista “serio”, che sceglie un luogo non solo per la sua eccellenza, scartando il resto, ma vive e ama tutto di una zona, il meglio e il peggio. Lo notai uscendo da Pompei. La piazza è magnifica, il Santuario uno splendore, ma appena 100 metri più in là c’è il Sarno, il fiume più inquinato d’Italia, un rivolo di acqua putrida, circondato da rifiuti e baracche. Questo non toglie nulla allo splendore del Santuario, ma lo colloca in una realtà più vera, più drammatica e alfine amorevole. I torpedoni uscendo da Pompei imboccano l’autostrada e nessuno si accorge di nulla; l’autostrada è comoda e veloce, ma cancella tutto quello che sta in mezzo. Il camminatore invece la maggior parte del tempo lo passa in mezzo, nei trasferimenti, e questo lo mette in contatto vero con un territorio e gli spalanca in modo profondo le porte alle esperienze straordinarie. Aggiungo che per un cristiano i luoghi di magnificenza non sono solo quelli resi famosi dalla cultura artistica e storica, ma dalla fede. Per esempio andare ad Amalfi, luogo frequentatissimo dalle agenzie, accanto al piacere scenografico della città, luogo di eccellenza è la tomba di S. Andrea Apostolo. Di fronte a questo “tesoro” tutto il resto passa in secondo ordine, anzi viene da esso in qualche modo sostanziato: architettura, paesaggio e perfino gastronomia.

Quando nel viaggiare si mette al primo posto la Vergine, i Santi e l’incontro con persone buone, questo si chiama fare un Pellegrinaggio. E credo che una delle esperienze più belle che si possano fare in terra, prima del Paradiso, sia proprio il Pellegrinaggio. C’è una altra ragione di questa particolare felicità: la brevità delle soste. Il camminatore anche quando incontra il meglio, sente che non deve fermarsi, ma andare sempre oltre, col risultato che quell’ esperienza di fede, bellezza e amore, vengono come incastonate nell’”attimo” e non rovinate dal tempo e dalla scoperta del limite nostro, altrui e di tutto quanto esiste.