DIARIO DI DON GIANCARLO

Lunedì 29 settembre 2025, Festa dei Santi Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1,47-51

Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo.


In quel tempo, Gesù, visto Natanaele che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaele gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Parola del Signore.

 

 

“Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”. Il sogno di Giacobbe (Gen. 28,10-17), la scala misteriosa su cui salgono e scendono gli angeli del Signore, si realizza pienamente in Cristo quando viene “elevato” (Gv 3,14) in croce. La croce diventa la scala che unisce il cielo alla terra mentre abbraccia l’intera umanità, il ponte, secondo l’immagine cara a santa Caterina da Siena, gettato dall’infuocato amore di Dio per raggiungere l’uomo. L’originaria, paradisiaca comunicazione fra il Creatore e la creatura viene ristabilita sulla croce. Dalla croce, come da fonte inesauribile, sgorga il flusso divino che purifica e divinizza l’uomo. Dalla croce Cristo manda lo Spirito che rinnova la faccia della terra. Dio ha tracciato in Cristo la via maestra per giungere fino a noi e l’uomo la percorre riconoscente pieno di stupore. Su questa via camminiamo insieme, preceduti da Cristo, confortati dalla tenerezza della Madre di Dio, sostenuti dalla intercessione dei santi, accompagnati dagli angeli, da san Michele, “forza di Dio”, da san Raffaele, “medicina di Dio”, da san Gabriele “l’inviato di Dio” per annunciare anche a noi oggi che Dio ha posto la sua tenda fra noi. Buona giornata


Domenica 28 settembre 2025, XXVI° del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Luca Lc 16,19-31

Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti.

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: "Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma".
Ma Abramo rispose: "Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi".
E quello replicò: "Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento". Ma Abramo rispose: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro". E lui replicò: "No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno". Abramo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti"».

Parola del Signore.

 

 

 

Gesù ci pone sempre davanti a due realtà, a due atteggiamenti, a due proposte di vita tra le quali poter scegliere. Nella parabola sono presentati due personaggi uno povero e mendicante e un ricco. La differenza che sottolinea Gesù non è nella loro posizione sociale ma nel diverso approccio verso la vita. Per prima vi è il ricco che pensa a trascorrere le giornate solo a banchettare e a soddisfare i propri desideri. Non si cura degli altri che gli stanno accanto e neanche pensa alle loro necessità e ai loro bisogni. Egli pensa solo a sé stesso. Poi vi è il mendicante, uno escluso dal consenso sociale: è trattato peggio dei cagnolini; è un emarginato non ha di che sostenersi. A questi due atteggiamenti poi corrispondono due realtà che tra loro sono incomunicabili: il paradiso e l’inferno. Sono la rappresentazione della nostra scelta di vita: quanto interviene Dio nella nostra vita? Come lo dimostriamo, nella carità nella nostra fede? La risposta a queste domande non è il castigo di un Dio giudice e senza misericordia ma è la conseguenza della nostra scelta di vita, attuata in piena libertà e che Dio poi rispetta. Dio ci offre continuamente la possibilità di salvezza e la stessa parabola ne parla. È Dio che «aveva già parlato nei tempi antichi molte volte ed in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti» come dice l’autore della Lettera agli Ebrei; ed ha anche mandato il suo Figlio, è l’accenno finale della parabola si riferisce proprio alla redenzione che si compie attraverso la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Noi non abbiamo scusanti per la nostra negligenza e abbiamo il dovere di annunciare questo messaggio di salvezza a chi non lo ha ancora recepito perché Gesù ci dice: «quello che vi dico nelle tenebre ditelo nella luce, e quello che ascoltate all’orecchio predicatelo sui tetti». Buona Domenica

 

Sabato 27 settembre 2025, Memoria di San Vincenzo           De' Paoli, Presbitero

Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,43b-45

Il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato. Avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

 

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Parola del Signore.

 

 

 

Gesù rivela ai suoi discepoli la verità sulla sua missione. Non è una previsione di gloria ma il preannuncio di un futuro difficile. I discepoli non riescono ancora a capire questa nuova prospettiva, della glorificazione della Croce e vogliono allontanare questi pensieri di morte, persecuzione e dolori. La giustizia, per loro non può avvalersi della morte di un innocente Il futuro per loro sembra buio e tenebroso, non tutti saranno in grado di accettare questa nuova missione. È difficile adattare le proprie aspirazioni con i desideri del Signore, anche a noi sarà capitato tante volte di sperimentare la crudezza di questa realtà. La possibilità di salvezza sta proprio nel saper accettare il passaggio della nostra croce quotidiana. Buona giornata

 

Venerdì 26 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,18-22

Tu sei il Cristo di Dio. Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto.

 

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio».
Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo - disse - deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».

Parola del Signore.

 

Voci diverse e contrastanti parlano di Gesù: la voce stonata di Erode, le dicerie e le chiacchiere della gente, le false insinuazioni degli scribi e dei farisei, nemici dichiarati del Cristo. In un momento di intimità e di preghiera, in un luogo appartato, lontano dalle voci e dai rumori del mondo, lo stesso Signore rivolge ai suoi la domanda: “Chi sono Io secondo la gente?” Egli aveva detto loro: “A voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli” (Mt 13,11), si attende perciò una risposta diversa, sicura e difatti l’ottiene per bocca di Pietro, che prendendo la parola risponde: ”Il Cristo di Dio”. Gesù a sua volta dirà: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli”. Comprendere la piena verità di Cristo non è frutto del sangue e della carne, ma dono di Dio mediante la fede. Tale dono dovremmo chiedere incessantemente anche per noi. Buona giornata

 

 

Giovedì 25 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,7-9

Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?


In quel tempo, il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risorto dai morti», altri: «È apparso Elìa», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti».
Ma Erode diceva: «Giovanni, l’ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire queste cose?». E cercava di vederlo.

 

Parola del Signore.

 

 

Il Re Erode ha sentito parlare vagamente di Cristo, della sua dottrina nuova, delle sue opere, dei segni e prodigi che compie, ma tutto ciò ha generato in lui solo una divertita curiosità. Non è sorretto dalla fede e di conseguenza riduce tutto a dimensioni e ragionamenti umani. È incapace di comprendere la chiamata divina, egli vorrebbe, per pura curiosità, essere solo testimone di uno di quei miracoli dei quali tanto si parla. Il tiranno diventa la figura di tutti coloro che vorrebbero “vedere” Cristo, fidandosi della sola intelligenza, ignari che è impossibile all’uomo entrare nelle verità divine, senza il sostegno della fede e della grazia. Quanti ancora oggi vorrebbero “capire” Dio, ridurlo alle proprie dimensioni, pretendendo di dargli suggerimenti e direttive! Il salmista saggiamente ammonisce: “Nella tua luce, Signore, vediamo la luce”. Buona giornata

 

 

Mercoledì 24 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 9,1-6

Li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.

 

In quel tempo, Gesù convocò i Dodici e diede loro forza e potere su tutti i demòni e di guarire le malattie. E li mandò ad annunciare il regno di Dio e a guarire gli infermi.
Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né sacca, né pane, né denaro, e non portatevi due tuniche. In qualunque casa entriate, rimanete là, e di là poi ripartite. Quanto a coloro che non vi accolgono, uscite dalla loro città e scuotete la polvere dai vostri piedi come testimonianza contro di loro».
Allora essi uscirono e giravano di villaggio in villaggio, ovunque annunciando la buona notizia e operando guarigioni.

Parola del Signore.

 

 

La costruzione della casa di Dio non è opera umana, edificare la Chiesa non è in potere degli uomini: solo Gesù ha questo potere e lo trasmette ai Dodici. Ma perché sia chiaro che quella loro non sia opera umana, chiede di non preoccuparsi di nulla, neppure di ciò che sembra indispensabile. La prima lettura ci mostra anche un altro aspetto. La costruzione è opera divina, noi dobbiamo portare come fondamento l'umile confessione dei nostri peccati: "Mio Dio, sono confuso, ho vergogna di alzare la faccia verso di te, mio Dio, perché le nostre colpe si sono moltiplicate". E' questa la condizione per "rialzare la casa di Dio", per "restaurare le rovine". Se mancano l'umiltà e il dolore per i peccati l'opera divina non si può effettuare e si avrà solo uno sterile tentativo umano. Se invece poniamo le autentiche fondamenta nell'umiltà e nel pentimento Dio può costruire e lo fa con la munificenza della sua misericordia. Ecco perché il salmo responsoriale ci invita: "Contemplate quel che il Signore ha fatto per voi, e ringraziatelo con tutto il vostro cuore". Buona giornata

 

 

Martedì 23 settembre 2025, Memoria di San Pio da Pietrelcina

Dal Vangelo secondo Luca Lc 8,19-21

Mia madre e i miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica.


In quel tempo, andarono da Gesù la madre e i suoi fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.
Gli fecero sapere: «Tua madre e i tuoi fratelli stanno fuori e desiderano vederti».
Ma egli rispose loro: «Mia madre e miei fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Parola del Signore.

 

 

La prima lettura parla della “casa di Dio”, la seconda, il Vangelo, della famiglia di Gesù. È facile vedere il rapporto poiché nella Scrittura la parola “casa” può significare sia un edificio sia una famiglia. Per esempio quando la Bibbia parla della “Casa di Davide” può significare la sua abitazione, ma più spesso si tratta della famiglia, della stirpe di Davide. Chi ascolta le mie parole è per me fratello e madre… Ecco, se noi ascoltiamo la Parola di Dio e la mettiamo in pratica, diventiamo suoi fratelli, anzi sua madre, formiamo cioè la sua famiglia, siamo la “casa di Dio” siamo cioè nello stesso momento sua famiglia e suo tempio, cioè luogo dove lui abita. Si realizzano così le profezie di cui abbiamo letto nella prima lettura che Dio ha voluto abitare con gli uomini, non solo in mezzo a loro ma in loro, dentro di loro, per unirli tutti in un’alleanza che fa di essi un unico edificio, un’unica famiglia, e addirittura un unico corpo, il Corpo di Cristo. Buona giornata

 

 

Lunedì 22 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 8,16-18

La lampada si pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.

 
In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la mette sotto un letto, ma la pone su un candelabro, perché chi entra veda la luce.
Non c’è nulla di segreto che non sia manifestato, nulla di nascosto che non sia conosciuto e venga in piena luce.
Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha, sarà dato, ma a chi non ha, sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Parola del Signore.

 

 

Luce. Parola semplice, parola meravigliosa. Per ognuno di noi è una parola carica di ricordi… Il lampo nella notte fa paura, i primi raggi del sole all’alba ridanno coraggio e speranza. C’è forse uno spettacolo più bello, un momento più esaltante di quando si raggiunge la cima di una montagna mentre spunta il sole? Come ogni avvenimento importante anche questo è preceduto da alcune prove. Dapprima la notte, una notte buia e fredda, a volte glaciale, resa ancora più penosa dai venti. Il momento tanto atteso tarda a giungere, bisogna aspettare, bisogna saper aspettare. Mentre le stelle sbiadiscono lentamente, l’orizzonte lontano si copre dolcemente di un alone chiaro, che si fa rosa col passare del tempo. Il momento atteso arriva, infine, quando una riga rossa sottile si staglia nel cielo e si ingrandisce a vista d’occhio verso l’est. Si leva il giorno. La luce della fede, questa luce preziosa, si accende nelle nostre anime allo stesso modo, se sappiamo aspettarla, sollecitarla con la preghiera. E la grazia segue la luce, la luce diventa grazia. Dio è presente. Con il battesimo noi abbiamo ricevuto questa piccola luce nel nostro cuore, nell’intimo della nostra anima. Ma può capitare che, col passare degli anni, la fiamma di questa piccola torcia diminuisca e tenda a spegnersi. Dobbiamo allora fare molta attenzione, vegliare e non accettare che si spenga definitivamente. Dobbiamo ravvivarla e conservarla sempre al centro della nostra vita in balia di dubbi e domande. Dobbiamo proteggerla e tenerla sempre accesa affinché possa illuminarci, guidarci nelle nostre scelte, nelle nostre decisioni o nelle nostre azioni, ed inondi tutta la nostra vita. Dobbiamo proteggerla e tenerla sempre accesa affinché la nostra vita sia essa stessa una luce per tutti quelli che incontriamo e che, come noi, cercano Cristo, fonte di ogni vera luce grazie al suo Amore infinito. Buona giornata

 

 

Domenica 21 settembre 2025, XXV° del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Luca Lc 16,1-13
Non potete servire Dio e la ricchezza.


In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli:
«Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Parola del Signore.

 

 

Malversazione: se non sbaglio è così che la lingua italiana definisce l’impiego illegittimo di denaro o di beni mobili, da parte di un amministratore o di un funzionario. L’amministratore della parabola che abbiamo ascoltato si trova di fronte a un’improvvisa verifica del suo operato e di punto in bianco, deve fronteggiare la prospettiva della propria imminente rovina. Cose del genere accadono frequentemente, purtroppo. Ma è la conclusione del discorso che invece meraviglia tantissimo. Quel furfante infatti riesce a cavarsela con una abilità e una prontezza di riflessi che arrivò perfino a strappare l’ammirazione del derubato.  Insomma, quell’amministratore… disonesto è disonesto… ma non si può negare che sia astuto!

Ed è proprio questa astuzia, questa scaltrezza che attira l’attenzione di Gesù e che diventa oggetto di un insegnamento, che – notate – Gesù non rivolge a scribi e farisei, ma proprio ai suoi discepoli.

Quanto è amara la conclusione del Signore! «I figli di questo mondo, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». È un vero e proprio lamento di Gesù sui suoi discepoli. 

È possibile – sembra dire il Signore – che i beni eterni e meravigliosi del Regno di Dio non valgano da parte nostra un impegno deciso e radicale? È possibile che l’uomo sappia escogitare tutte le vie più nascoste e più subdole per fare soldi o avere successo e che sia invece così imbranato e sprovveduto, quando si tratta di conquistare il Regno di Dio? 

Diceva il Card. Biffi che una delle disgrazie dell’umanità consiste nel fatto che “troppo spesso il male è fatto bene, con impegno, con intelligenza, con tenacia; e troppo spesso il bene è fatto pigramente, senza passione, senza genialità, senza costanza, presentato in forme scolorite e prive di fascino”. Ma che bello è invece il modo con cui Gesù descrive i suoi discepoli: i “figli della luce”! Una espressione che parla della grazia di avere occhi e cuore illuminati dalla verità del vangelo; di noi che dovremmo saper dare il giusto valore alle cose e conoscere il senso e il fine della storia umana!… Eppure, “i figli della luce” sono più indecisi, svogliati, incoerenti nell’agire, mentre quelli senza principi e senza scrupoli sono di solito particolarmente capaci ed intraprendenti.

Guardiamoci attorno e ammettiamolo con franchezza! Noi, come popolo animato della fede, capace di tanta genialità e bellezza, ci siamo lentamente adagiati ad una cultura del tutto individualista! Siamo figli di uomini e donne che hanno iniziato con passione a costruire cattedrali che non hanno neanche visto finite, ma che hanno immaginato come un dono per la gloria di Dio e per le generazioni future… eppure ci siamo spenti in un individualismo egoista che non dà spazio alla vita fragile e inerme! Ci siamo mostrati talmente poco furbi, che – con la scusa di rispettare le idee degli altri – siamo arrivati, contro le nostre convinzioni, a permettere di dare valore di legge ad aberrazioni egoistiche! Il Vangelo ci da oggi un piccolo pugno sullo stomaco: ci ricorda senza troppi giri di parole che ogni giorno che passa si avvicina il momento del rendiconto, quando tutte le nostre incoerenze verranno allo scoperto e noi saremo nella situazione imbarazzante di non saper rispondere alle contestazioni precise e incontrovertibili del nostro Signore.  

Eppure c’è ancora un modo per salvarci dalla catastrofe, dice Gesù; ed è quello di essere generosi nei confronti del prossimo: generosi del nostro perdono, del nostro tempo, del nostro interessamento e anche delle nostre risorse. È, in fondo, ciò che suggerisce la preghiera del Padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti; come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori».

Qualcuno potrebbe obiettare che il furfante malversatore della parabola non dava via del suo, ma faceva lo splendido con i beni del suo padrone. Ma, pensiamoci bene…! Non è vero forse che tutto quello che abbiamo, lo abbiamo ricevuto? Dunque dando agli altri, noi non diamo propriamente del nostro. Eppure il Signore approva tanto questo comportamento da essere felice di attribuire a noi il merito dei regali agli altri fatti con i suoi beni. Ognuno di noi amministra una ricchezza che gli è stata data: la vita, la giovinezza (finché dura), la salute, ma diciamolo pure anche la fede, i talenti, la sensibilità, l’intelligenza… Quella di oggi è una vera e propria istigazione alla malversazione! Gesù ci esorta a fare gli splendidi con i doni di Dio! Oggi però, non possiamo sottrarci ad una osservazione, perché non è la prima volta che ascoltiamo nel vangelo di Luca la parola ricchezza associata all’aggettivo “disonesta”. Non è detto che se uno che dispone di beni materiali automaticamente abbia agito in modo disonesto. Prima che un senso etico questo aggettivo “disonesta ricchezza”, ha un senso spirituale: la ricchezza viene definita “disonesta” per la sua natura seduttrice, perché promette una felicità che non è in grado di dare. Ed è innegabile che il suo accumulo eccessivo ha qualcosa di intrinsecamente disonesto, se non diviene occasione di promozione e di crescita del prossimo e della comunità. Ecco. Se per un momento ci fermiamo, per valutare il corso della nostra vita alla luce della parola di Dio, abbiamo la possibilità di fare un bilancio anche molto concreto della nostra esistenza e dei beni materiali e spirituali di cui siamo dotati.  L’amministratore disonesto della parabola si è fatto degli amici con i soldi del suo padrone. 

 

Anche nel Regno di Dio la ricchezza, i beni materiali e spirituali possono essere usati per farsi degli amici. Chiediamo in dono oggi l’astuzia santa di capire che davanti ai cancelli del paradiso, contano più le raccomandazioni dei piccoli che avremo aiutato che non quelle dei potenti corrotti di questo mondo! Buona Domenica

Sabato 20 settembre 2025, Memoria dei Santi Martiri Andrea Kim Tae-Gon, Paolo Chong Ha-Sang e compagni

Dal Vangelo secondo Luca Lc 8,4-15

Il seme caduto sul terreno buono sono coloro che custodiscono la Parola e producono frutto con perseveranza.


In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: «Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché
vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.
Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. I semi caduti lungo la strada sono coloro che l’hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza.

Parola del Signore.

 

 

Chi ha visto almeno una volta il bel gesto misurato e solenne del seminatore, il suo incedere tra i solchi con passo cadenzato, l’affondare la mano nel sacco per riempirla di seme e poi cospargerlo a pioggia nel campo, può ben comprendere quanto si addice al buon Dio quell’immagine. Egli è il seminatore della vita, il fecondatore del seme, la fonte di ogni energia … Il seme di Dio si cala nel campo dell’animo umano dove lo stesso Signore ha posto il terreno migliore e più fecondo. È da lì che poi Egli attende con paterna pazienza il germogliare del seme e poi i frutti da raccogliere. Il grande problema sta nella condizione del terreno su cui cade quel buon seme, sta nella situazione in cui si trova il nostro spirito, nella nostra capacità di accoglienza, o, ahimè, nel nostro rifiuto. Sassi, spine, strada, sono immagini eloquenti delle nostre umane situazioni, sono la misura della nostra religiosità, della nostra capacita di fare comunione con Dio mediante la Parola. Ci ricordano anche i tranelli della vita e le false valutazioni che ne facciamo dei valori. Purtroppo occorre attendere il momento del raccolto per poter valutare veramente gli effetti della cattiva preparazione del terreno; solo allora si valuta la perdita o si gode del frutto abbondante. Quanti rimpianti per le occasioni perdute! Quante amarezze per rifiuti inconsulti e stolti. Il terreno buono dove il seme feconda abbondantemente è quello spirito umile e docile che accoglie con amore la parola e la trasforma in azioni di grazie e di bontà. Buona giornata

 

Venerdì 19 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 8,1-3

C’erano con lui i Dodici e alcune donne che li servivano con i loro beni.

 

In quel tempo, Gesù se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. 
C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Parola del Signore.

 

 

 

È di primaria importanza il ruolo che le donne svolgono nella vita di Gesù. Sappiamo tutti della Madre sua, della vergine Maria. Quello delle altre donne è meno appariscente di quello degli Apostoli e dei Discepoli, ma non per questo meno incisivo. Cristo ha goduto dell’amicizia di alcune di loro come Marta e Maria, le sorelle di Lazzaro; più volte egli si ritirava nella casa di Betania con i suoi discepoli e sappiamo in quelle circostanze di tutto lo zelo di Marta e del fervore che animava Maria, assetata della Parola del Signore. A loro restituì vivo il fratello, che da tre giorni era nel sepolcro. Oggi l’evangelista Luca ne menziona altre che erano state beneficate da Gesù: «C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni». È interessante la sottolineatura che Luca fa nel riferirci l’origine e la storia di quelle donne. Alcune di loro sicuramente sarebbero state definite donne non di buona fama e appartenenti a categorie che suscitavano il disprezzo dei giudei. Gesù ha un modo diverso di accogliere e di scegliere: egli accettando la loro preziosa collaborazione e annoverandole nella sua grande famiglia, vuole sottolineare ancora una volta che i prediletti del cuore sono i lontani che ritornano all’ovile, i peccatori e le peccatrici convertite. La storia conferma che spesso i più ardenti di amore, di gratitudine e di fervore apostolico, sono stati e sono ancora convertiti e convertite; persone che dopo aver sofferto la lontananza dal Signore, hanno poi goduto di un abbraccio di misericordia e si sono visti rivestiti di dignità nuova e ammessi dal Padre celeste al festoso banchetto nella casa paterna. È lo stile di Dio, spesso tanto diverso dalle nostre umane considerazioni. Quelle prime donne hanno poi segnato la storia sia nel testimoniare l’eroico coraggio di seguire Gesù fino al calvario, mentre gli apostoli erano in fuga, terrorizzati dagli eventi che rischiava di coinvolgerli in prima persona, sia nella schiera innumerevole di tante e tante altre, che si sono consacrate in modo totale ed esclusivo al Signore. Buona giornata

 

Giovedì 18 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,36-50

Sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato.

  
In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco».
Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».

 

Parola del Signore.

 

 

Ancora oggi suscita compassione anche in noi questa donna peccatrice che si prostra ai piedi di Gesù, li cosparge di lacrime e di olio profumato e li asciuga con i suoi capelli e li bacia con venerazione. È un sincero atto di pentimento, di amore e di profonda gratitudine. Ci ricorda le lacrime di tanti pentiti della storia, di quanti, come Sant’Agostino, dopo l’esperienza amara del peccato hanno trovato la via della salvezza e della santità. A dire di molti le lacrime umane, quelle causate dal dolore più intimo e profondo, hanno un grande potere di interiore purificazione e sicuramente meritano un sincero rispetto; forse proprio per questo nei vecchi libri di preghiere troviamo ancora diverse invocazioni a Dio per ottenere il dono delle lacrime. Quelle della donna del Vangelo gli meritano il perdono e la salvezza da parte di Gesù. Ancora una volta però all’atteggiamento misericordioso di Cristo si contrappone la stupida e meschina miopia degli scribi e dei farisei, i quali, come è loro costume, si ostinano nel pensare solo agli spetti formali della legge fino a deformare lo stesso pensiero di Dio. Capita ancora a certi zelanti dell’umana giustizia vedere nella misericordia divina solo un atteggiamento di debolezza o addirittura di sottile ingiustizia. A pensare che in Paradiso saremo lì a cantare in eterno la misericordia del Signore; vale la pena iniziare sin da ora quel canto! Buona giornata

 

Mercoledì 17 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,31-35

Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non avete pianto.


In quel tempo, il Signore disse:
«A chi posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile? È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, 
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!”.
È venuto infatti Giovanni il Battista, che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: “È indemoniato”. È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e voi dite: “Ecco un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori!”.
Ma la Sapienza è stata riconosciuta giusta da tutti i suoi figli». 

 

Parola del Signore.

 

 

"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato: vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!" Gli eventi tristi e lieti della vita, la stessa voce di Dio ci colgono talvolta distratti, distaccati e superficiali. Gesù ci ha invitato invece a saper leggere i segni dei tempi; egli vuole che la storia sia letta alla luce di Dio e non solo con la nuda razionalità umana. Dobbiamo rendere giustizia alla sapienza. È arcana, divina la pedagogia del Signore. Non possiamo però esimerci dal leggere con gli occhi dello Spirito quanto accade fuori e dentro di noi. Rischiamo così, come spesso accade, di ridurre a cronaca la storia e a scarni eventi l'azione di Dio e i suoi interventi. Cadono nel nulla, nel vuoto e nel deserto degli spiriti le voci dei profeti, la voce del figlio di Dio, la sua stessa venuta tra noi assume le caratteristiche di un fugace passaggio di un illustre condannato e le sue massime di vita ridotte a slogan da scordare. Oggi anche noi cristiani siamo vittime dei media che hanno assunto il compito di fornirci la notizia lampo e di spettacolarizzare gli eventi. Tutto viene riferito in fretta, la notizia anche la più drammatica scorre veloce per fare spazio a quella successiva; il giornale invecchia in poche ore e tutto corre a ritmi vertiginosi. Come sarebbe utile fermare i pensieri al punto giusto, essere capaci di sane valutazioni, saper trarre le migliori conclusioni dalle voci e dagli eventi del mondo e soprattutto dalla voce di Dio! Buona giornata

 

Martedì 16 settembre 2025, Memoria dei Santi Cornelio e Cipriano, Martiri

Dal Vangelo secondo Luca Lc 7,11-17

Ragazzo, dico a te, alzati!


In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.
Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei.
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, alzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.
Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.

Parola del Signore.

 

 

In questo brano, Luca ci parla di “Gesù” dicendo che si reca a Nain, ma “Gesù” diviene “il Signore” nel momento in cui incontra il corteo funebre. Questo cambiamento di denominazione ci spinge a vedere in Gesù il Signore della vita. La morte, la sconfitta dell’uomo risultano insopportabili a Dio, poiché lo scacco dell’uomo è anche lo scacco di Dio. Dio ha fatto l’uomo per la vita, poiché egli è Vita. In Gesù Cristo, egli ci rivela che la morte non solo gli è insopportabile, ma anche che egli è in grado di far sorgere la vita dalla morte stessa. La pietà del Signore della Vita non è qui un vago sentimento umano, anche se nella sua natura umana Gesù di Nazareth soffre di vedere la vedova di Nain piangere il proprio figlio: la sua pietà esprime un grido profondo del Vivente in grado di trasformare in vita ciò che il peccato dell’uomo ha fatto sì che divenisse morte. Per Dio la morte è un sonno: “Dico a te, alzati!”. La nostra speranza è in questa fede che fa sì che Gesù sia per noi il Signore. Dio è più forte del male e della stessa morte. Il Signore è in grado di fare di ogni situazione una risurrezione. Buona giornata

 

Lunedì 15 settembre 2025, Memoria della B. V. Maria Addolorata

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 19,25-27

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.

Parola del Signore.

 

 

L’obbedienza! Al giorno d’oggi, a pochi piace sentir parlare di obbedienza, specialmente quando questa è intesa nel senso di sottomissione ad una autorità superiore. Il padre dice al figlio: «Fa’ quello che ti dico io». «Perché non puoi obbedire al tuo professore?», dice il preside allo studente che gli è stato mandato. Dopo aver fatto spostare la macchina al lato della strada, il poliziotto chiede all’autista: «Lo sa che non ha obbedito al limite di velocità?». Sottomettersi al comando di un altro è sempre una cosa dura nella nostra epoca gelosa della libertà personale, dell’indipendenza religiosa e dell’individualità psicologica. Diviene ancora più difficile annunciare l’obbedienza di Gesù, Figlio di Dio. Eppure, fu obbediente. Gesù fu obbediente alla volontà di Dio, sempre, fino alla croce. A motivo della sua umanità – un aspetto che si dimentica facilmente – Gesù ha sofferto, come tutti. Ha conosciuto la solitudine, lo sconforto, la sete, la fame, il tradimento degli amici, ecc. Attraverso le sue sofferenze umane, ha imparato l’obbedienza alla volontà di Dio. È stata la sua obbedienza a renderlo perfetto. Maria, la Madre di Gesù, un essere umano anche lei, ha conosciuto la sofferenza. Nella sua vita sperimentò ben presto il dolore. Ancora ragazza, non sposata e incinta, non fu risparmiata dalla sofferenza. Ha conosciuto le sofferenze della povertà alla nascita di Gesù, l’angoscia, la solitudine, la morte. Però, come suo Figlio, anche Maria attraverso le sue sofferenze ha imparato l’obbedienza alla Parola di Dio. Dare a Maria il titolo di «Addolorata» significa riconoscerla capace di essere solidale con chi soffre. Mentre l’obbedienza richiama all’uomo d’oggi aspetti negativi, essa merita invece un’attenta riflessione. Se il Figlio di Dio fu obbediente al Padre suo, se Maria, la Madre di Dio, fu anch’essa obbediente al Padre, perché allora non si può anche oggi imparare l’obbedienza attraverso la sofferenza? Buona giornata

 

Domenica 14 settembre 2025, Festa dell'esaltazione della Santa Croce

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 3,13-17

Bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo.


In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:
«Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna.
Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Parola del Signore.

 

 

L’esaltazione della santa Croce ci fa conoscere un aspetto del suo cuore che solo Dio stesso poteva rivelarci: la ferita provocata dal peccato e dall’ingratitudine dell’uomo diventa fonte, non solo di una sovrabbondanza d’amore, ma anche di una nuova creazione nella gloria. Attraverso la follia della Croce, lo scandalo della sofferenza può diventare sapienza, e la gloria promessa a Gesù può essere condivisa da tutti coloro che desideravano seguirlo. La morte, la malattia, le molteplici ferite che l’uomo riceve nella carne e nel cuore, tutto questo diventa, per la piccola creatura, un’occasione per lasciarsi prendere più intensamente dalla vita stessa di Dio. Con questa festa la Chiesa c’invita a ricevere questa sapienza divina, che Maria ha vissuto pienamente presso la Croce: la sofferenza del mondo, follia e scandalo, diventa, nel sangue di Cristo, grido d’amore e seme di gloria per ciascuno di noi. Buona Domenica

 

Sabato 13 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,43-49

Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?

 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

 

Parola del Signore.

 

 

L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore. Il bene del nostro cuore sono i frutti che noi produciamo. L’albero buono, infatti si riconosce dai suoi frutti. Così anche l’uomo si riconosce dalle sue opere. Uno che va contro la legge di Dio si può forse chiamare cristiano? Sul marciapiede giaceva un giovane, è passato uno che chiamavano medico, era medico? Nella stanza affianco da un’ora sta piangendo un bimbo, quella che sta guardando la telenovela è forse sua madre? In un convento ogni frate va per conto suo, colui che dice di essere guardiano lo è davvero? Le parole valgono poco. Non contano nemmeno le invocazioni, le preghiere al Signore, se non sono accompagnate dal compimento della sua volontà. Occorre l’ascolto e la pratica. Diversamente la vita diventa precaria, senza fondamenti. A parole o con le intenzioni siamo tutti cristiani perfetti. Proviamo ad esserlo anche con i fatti. Buona giornata

 

 

 

Venerdì 12 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,39-42

Può forse un cieco guidare un altro cieco?

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Parola del Signore.

 

 

 

«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due in una buca?». Gesù era circondato da falsi maestri, sempre pronti a giudicare e condannare gli altri e incapaci di esaminare se stessi. Egli li stigmatizza con una serie di invettive, scatenando la loro indignazione, che culminerà con le false accuse e l’assurda sentenza di morte. Alla radice delle loro falsità c’era la presunzione, l’atteggiarsi ipocritamente a maestri e guide senza averne le doti. Dice loro esplicitamente «ciechi e guide di ciechi». Gesù ammonisce anche i suoi: «voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli». Anche il miglior discepolo del miglior maestro deve ornarsi di umiltà e mai deve ergersi a giudice degli altri. «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo?» Ecco cosa accade quando presumiamo di poter essere giudici degli altri senza averci prima esaminato attentamente sui nostri comportamenti. C’è una facile ed insidiosa convinzione in noi quando crediamo che scoprendo e smascherando gli altri difetti, ammantiamo e sminuiamo i nostri. Questa subdola insidia ci spinge a giudicare gli altri e a puntare lo sguardo indagatore e il dito accusatore verso gli altri e non verso noi stessi. Ci capita quando ci siamo disabituati a fare un attento esame di coscienza che ci indurrebbe a vedere prima la trave nel nostro occhio e poi la pagliuzza nell’occhio del nostro fratello. Gesù definisce tale atteggiamento come una forma di ipocrisia: «Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e allora potrai vederci bene nel togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello». Attenzione allora agli inquinamenti della nostra vista. Abbiamo il dovere di purificare il nostro occhio affinché possa vedere nella pienezza della luce che lo stesso Signore ci dona e procedere prima, nella verità e nella carità, alla nostra personale correzione e poi a quelle dei nostri fratelli. Buona giornata

 

Giovedì 11 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,27-38

Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: 
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro.
Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Parola del Signore.

 

Il brano del Vangelo di oggi è uno di quelli che non ha bisogno di commenti. Il suo messaggio è talmente chiaro e cristallino che non resta che leggerlo e meditarlo. E poi, rileggerlo e rimeditarlo, e così via finché non ci rimarrà impresso nel nostro cuore!

 

 

Mercoledì 10 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,20-26

Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.

In quel tempo, Gesù, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».

Parola del Signore.

 

 

I due brani della Liturgia di oggi, quello di san Paolo e del Vangelo sembrano essere complementari. Infatti, potremmo stabilire la seguente equazione: le beatitudini stanno alla vita nuova in Cristo (risorti con Cristo) come le maledizioni (guai) stanno al peccato (parte di noi che appartiene alla terra). L'essere risorti, come ci dice l'Apostolo, il far parte della vita nuova significa vivere nella povertà, nella persecuzione e nel dolore con la speranza, anzi con la certezza, che Cristo ha già vinto tutte queste cose e che noi già da ora, in maniera misteriosa, condividiamo con Lui la gioia della risurrezione. La nostra sofferenza momentanea è un mezzo per immergerci ancora di più nel grande mistero della salvezza. Non ci è chiesto di capire per amare, ma di amare per capire, proprio perché il cristianesimo non si configura come conoscenza intellettuale ma come esperienza della persona di Cristo che in se stesso e in noi ha vinto la morte e il peccato. Buona giornata

 

Martedì 9 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,12-19

Passò tutta la notte pregando e scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli.

 
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

 

Parola del Signore.

 

 

 

"Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione". Che cosa aveva da chiedere a Dio, lui che era il Figlio di Dio, il Figlio dell'uomo, signore del sabato e che poteva perdonare il peccato? Temeva forse di sbagliarsi nella scelta degli apostoli, prevista per l'indomani? Doveva chiedere consiglio al Padre suo? In queste domande proiettiamo la debolezza della nostra preghiera. In questo momento, capitale nella realizzazione della sua missione (scegliere i Dodici significa infatti posare le fondamenta della Chiesa), la preghiera di Gesù è preghiera di comunione e di contemplazione del Padre. Gesù si ritira: Luca situa spesso quest'atteggiamento prima di un avvenimento importante. Tale atteggiamento è testimonianza della comunione di Gesù col Padre. La preghiera di Gesù è gratuita: è contemplazione, ammirazione del Padre. È espressione del suo slancio d'amore in quanto Figlio. Seguiamo allora i suoi passi e, nonostante la nostra debolezza, impariamo a "ritirarci", per ascoltarci, per voler essere figli, con Gesù, in uno slancio d'amore per il Padre. "Padre...": ecco la preghiera di Gesù e la nostra preghiera. Buona giornata

 

Lunedì 8 settembre 2025, Natività della B. V. Maria

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 1,1-16.18-23

Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo.

Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo.
Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli, Giuda generò Fares e Zara da Tamar, Fares generò Esrom, Esrom generò Aram, Aram generò Aminadab, Aminadab generò Naasson, Naasson generò Salmon, Salmon generò Booz da Racab, Booz generò Obed da Rut, Obed generò Iesse, Iesse generò il re Davide.
Davide generò Salomone da quella che era stata la moglie di Urìa, Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abìa, Abìa generò Asaf, Asaf generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozìa, Ozìa generò Ioatàm, Ioatàm generò Acaz, Acaz generò Ezechìa, Ezechìa generò Manasse, Manasse generò Amos, Amos generò Giosìa, Giosìa generò Ieconìa e i suoi fratelli, al tempo della deportazione in Babilonia.
Dopo la deportazione in Babilonia, Ieconìa generò Salatièl, Salatièl generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiùd, Abiùd generò Eliachìm, Eliachìm generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliùd, Eliùd generò Eleàzar, Eleàzar generò Mattan, Mattan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo.
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.
Mentre però stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».
Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa Dio con noi.

Parola del Signore.

 

La celebrazione odierna – leggiamo nel brano dei Discorsi di Sant’Andrea di Creta, proclamato nell’odierno Ufficio delle Letture – onora la natività della Madre di Dio. Però il vero significato e il fine di questo evento è, l’incarnazione del Verbo. Infatti “Maria nasce, viene allattata e cresciuta per essere la Madre del Re dei secoli, di Dio”. È questo del resto il motivo per cui di Maria soltanto (oltre che di San Giovanni Battista e naturalmente di Cristo) non si festeggia unicamente la “nascita al cielo”, come avviene per gli altri santi, ma anche la venuta in questo mondo. In realtà, il meraviglioso di questa nascita non è in ciò che narrano con dovizia di particolari e con ingenuità i vangeli apocrifi, ma piuttosto nel significativo passo che Dio fa nell’attuazione del suo eterno disegno d’amore. Per questo la festa odierna è stata celebrata con lodi magnifiche da molti santi Padri che hanno attinto alla loro conoscenza della Bibbia e alla loro sensibilità e ardore poetico. Leggiamo qualche espressione del secondo Sermone sulla Natività di Maria di San Pier Damiani: “Dio onnipotente, prima che l’uomo cadesse, previde la sua caduta, e decise, prima dei secoli, l’umana redenzione. Decise dunque di incarnarsi in Maria”. Oggi è il giorno in cui Dio comincia a mettere in pratica il suo piano eterno, poiché era necessario che si costruisse la casa, prima che il Re scendesse ad abitarla. Casa bella, poiché, se la Sapienza si costruì una casa con sette colonne lavorate, questo palazzo di Maria poggia sui sette doni dello Spirito Santo. Salomone celebrò in modo solennissimo l’inaugurazione di un tempio di pietra. Come celebreremo la nascita di Maria, tempio del Verbo incarnato? In quel giorno la gloria di Dio scese sul tempio di Gerusalemme sotto forma di nube, che lo oscurò. Il Signore che fa brillare il sole nei cieli, per la sua dimora tra noi, ha scelto l’oscurità. Questo nuovo tempio si vedrà riempito dallo stesso Dio, che viene per essere la luce delle genti. Alle tenebre del gentilesimo e alla mancanza di fede dei Giudei, rappresentate dal tempio di Salomone, succede il giorno luminoso nel tempio di Maria. È giusto, dunque, cantare questo giorno e Colei che nasce in esso. Ma come potremmo celebrarla degnamente? Possiamo narrare le gesta eroiche di un martire o le virtù di un santo, perché sono umane. Ma come potrà la parola mortale, passeggera e transitoria, esaltare Colei che diede alla luce la Parola che resta? Come dire che il Creatore nasce dalla creatura? Buona giornata

 

 

Domenica 7 settembre 2025, XXIII° del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Luca Lc 14,25-33

Chi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

 

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. 
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Parola del Signore.

 

 

Sono tanti i calcoli e i progetti che facciamo e disfacciamo ogni giorno della vita. Molto spesso fare calcoli si trasforma in una parte, non trascurabile, del nostro vivere quotidiano, un vivere affannato e forse anche angosciato. Gesù ci dice che per iniziare una costruzione occorre sedersi e fare i calcoli necessari, se vogliamo portarla a compimento. E quale può essere per noi la costruzione più importante di quella della nostra vita? La vita che ci è affidata perché, realizzando il disegno che Dio ha su di noi, contribuiamo alla costruzione del regno. Ecco allora che c’è un calcolo che dovremmo fare prima di tutti gli altri, un calcolo che se sarà esatto ci condurrà inevitabilmente a costruire tutta la nostra vita su Cristo. Una volta fatta la scelta giusta, tutto verrà di conseguenza. Scoraggiamento e paura non ci mancheranno ma non spetta a noi nemmeno il giudizio su noi stessi, perché abbiamo scelto di rinunciare a tutti i nostri averi e quindi siamo dei “poveri”, degli “affidati”. Ci siamo affidati a Cristo Via, Verità e Vita e ci riaffidiamo a lui, costantemente, nella grande certezza che solo da lui prende luce ogni istante del nostro esistere e tutto il nostro progetto. Questa è la grande ricchezza di noi poveri! (EMMA CAVALLARO)

Buona Domenica

 

Sabato 6 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 6,1-5

Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?


Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Parola del Signore.

 

Gli scribi e i farisei, convinti di essere loro i depositari di tutte le verità e i depositari, custodi e interpreti autentici della legge, guardavano con crescente diffidenza Gesù e i suoi apostoli e, con occhio indagatore, cercavano ogni pretesto per coglierli in fallo e poi accusarli e screditarli presso il popolo. L’ultimo pretesto lo colgono dal fatto che i discepoli, passando per i campi, con le messi già biondeggianti, raccolgono delle spighe di grano e ne mangiano il frutto. Ecco pronta l’accusa rivolta allo stesso Gesù: «Perché fate ciò che non è permesso di sabato?» Il Signore confuta l’accusa ricorrendo alla stessa fonte biblica da cui i farisei hanno tratto i motivi dell’accusa: «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, quando ebbe fame lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». Gesù vuol proclamare una nuova legge di libertà, egli vuole svincolare l’uomo dall’osservanza solo esteriore e formale della legge. Sta per enunciare un comandamento nuovo che si basa sull’amore; egli non vuole che la legge diventi un capestro per l’uomo, ma che la pratichi come strumento di comunione con Dio, come segnali che indicano la strada del ritorno a lui. È significativa la frase conclusiva del vangelo di oggi: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato». Vuole così dirci che egli sta annunziando un nuovo sabato, che sta dando compimento alla legge antica, sta proclamando la libertà, che è vincolata solo dall’amore e che ci pone dinanzi a Dio come figli e non più come servi e schiavi. Il nuovo sabato sarà il suo giorno, la sua risurrezione, la nostra domenica: la pasqua settimanale. Buona giornata

 

 

Venerdì 5 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 5,33-39

Quando lo sposo sarà loro tolto, allora in quei giorni digiuneranno.


In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Parola del Signore.

 

La festa di nozze è la nuova creazione che Gesù compie. Il tempo della redenzione è quello della gioia, della letizia. Sottolineiamo quest’ultimo aspetto, che purtroppo oggi sembra malamente compreso. La gioia cristiana è nella sostanza e nella forma completamente differente dall’allegria, da uno stato euforico psicologico, dalla spensieratezza. Spesso si sente, anche in tante omelie, che si deve essere allegri perché Gesù è risorto e la nostra vita è una festa: vero, ma la nostra vita è pure sottomessa alla contingenza con tutto ciò che questa comporta in affanni e frustrazioni. Nell’esistenza cristiana si deve imparare nella diuturnità del credere a convogliare tutto ciò che ci tormenta ed anche la nostra stessa allegria in un’altra dimensione che è quella della speranza di Lui che rinnoverà radicalmente ogni cosa, ogni situazione e tutti gli esseri. Buona giornata

 

 

Giovedì 4 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 5,1-11

Lasciarono tutto e lo seguirono.

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Parola del Signore.

 

Con quale stupore e meraviglia Pietro ha tirato fuori le reti. Ha faticato tutta la notte e non ha preso niente. Egli però conosce Gesù, ha già visto tante cose da lui operate, ma non è questa la cosa più importante. Pietro sa che colui che gli parla è Figlio di Dio. “…abbiamo faticato tutta la notte… ma sulla tua parola getterò le reti”. Ecco l’atto di fede: abbiamo faticato senza di Lui e non abbiamo fatto niente”. Adesso Gesù è qui, adesso sta sulla sua barca, sta presso di lui. “Sono sicuro dice fra sé e sé che prenderemo tanto”. Abbiamo anche noi questa fede alla presenza di Cristo? Siamo coscienti del suo amore e della sua vicinanza? Ecco il segreto: costruire con Gesù. Da soli non possiamo far niente, ma con Lui possiamo tutto. C’è però un’altra cosa: “Gesù, allontanati da me perché sono un peccatore”. Pietro quando ha capito ciò che succedeva, quanti grandi pesci ha preso! Si è sentito indegno di quel miracolo e della vicinanza della divinità di Gesù. Ma Cristo gli resta vicino, e rimane vicino anche a noi, alla sua Chiesa, per sempre, nonostante tante brutture del mondo. Buona giornata

 

 

Mercoledì 3 settembre 2025, San Gregorio Magno, Papa e Dottore della Chiesa

Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,38-44

È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato.


In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea.

Parola del Signore.

 

 

 

La liturgia ci presenta oggi alla meditazione il brano delle guarigioni. Ma vorrei attirare l'attenzione sopra un'altra cosa. "Lo pregarono per lei ed egli, chinatosi la guarì". Ecco, lo pregarono... Egli, per fare miracoli, vuole le nostre preghiere, ha bisogno che chiediamo, che lo invochiamo... Come preghiamo noi? Sappiamo chiedere al Signore ciò di cui abbiamo bisogno? Sappiamo aprire il nostro cuore e dire: Signore ti prego, Signore, sia fatta la tua volontà, se vuoi puoi aiutarmi..., puoi sanarmi... Sì, Dio sa e conosce le nostre necessità, Dio è consapevole delle nostre malattie e povertà, nonostante ciò egli dice: entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò. Buona giornata

 

Martedì 2 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,31-37

 

Io so chi tu sei: il santo di Dio!

 

In quel tempo, Gesù scese a Cafàrnao, città della Galilea, e in giorno di sabato insegnava alla gente. Erano stupiti del suo insegnamento perché la sua parola aveva autorità.
Nella sinagoga c’era un uomo che era posseduto da un demonio impuro; cominciò a gridare forte: «Basta! Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!».
Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E il demonio lo gettò a terra in mezzo alla gente e uscì da lui, senza fargli alcun male.
Tutti furono presi da timore e si dicevano l’un l’altro: «Che parola è mai questa, che comanda con autorità e potenza agli spiriti impuri ed essi se ne vanno?». E la sua fama si diffondeva in ogni luogo della regione circostante.

 

Parola del Signore

 

Rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità. È questo l’atteggiamento di Gesù che colpisce in questo episodio. Questa autorità non è quella che viene imposta con la forza fisica ma si esprime in due aspetti che saranno poi tipici dell’insegnamento di Gesù stesso. Vi è l’autorità della parola che si basa anche sulla conoscenza della Sacra Scrittura e vi è anche l’autorità con la quale opera i miracoli. Non è la spettacolarizzazione di poteri sovrumani ma la manifestazione più piena e consapevole della Potenza di Dio. In entrambi i casi vi è il fine salvifico di Gesù che però viene allargato, tramite l’opera della chiesa, a tutti noi e per tutti i tempi. La consapevolezza che le parole ed i gesti nascondono fini più profondi rende l’insegnamento autoritario e gli interlocutori attenti partecipi a tali opere. L’Autorità è ascoltata: è questa l’esortazione che dovremo ricavare da questo brano evangelico. Buona giornata

 

 

Lunedì 1 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca Lc 4,16-30

Mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio... Nessun profeta è bene accetto nella sua patria.


In quel tempo, Gesù venne a Nazareth, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi,
a proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarepta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naaman, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

Parola del Signore.

 

Gesù nella sinagoga di Nazareth, facendo una lettura sapienziale di un passo del profeta Isaia, indica il significato della sua missione: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore». Viene confermata la testimonianza di Giovanni Battista: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.», ma tutto il messaggio profetico biblico trova in Cristo il pieno adempimento: «Oggi si è adempiuta questa scrittura». Cristo è l’unto di Dio, consacrato e prescelto per una missione esclusiva di salvezza. Egli deve restituire la verità agli uomini, vittime della menzogna e del peccato, deve liberarli dai lecci del male, deve richiamare a se tutti gli affaticati e oppressi per dare loro ristoro, deve rendere gli uomini soggetti della divina misericordia e capaci a loro volta di riconciliazione e di perdono. E’ triste costatare che sin dall’inizio della sua missione e proprio nella sua patria Gesù incontri ostilità e assurde resistenze. Quegli uditori che da secoli erano in attesa di un messia liberatore, ora che è venuto ad abitare in mezzo a loro, pur meravigliati per le parole di grazia che uscivano dalla sua bocca, non lo riconoscono, si scandalizzano di lui e già lo minacciano di morte. Quanta fatica facciamo noi uomini per entrare con semplicità e fede autentica nei misteri di Dio: chi sa quali idee avevano i concittadini del Signore sul Messia, quali erano le loro attese? Spesso, quasi istintivamente noi vorremmo che il Signore Dio rispondesse alle nostre speranze con i toni e gli accenti della grandiosità, della potenza, della spettacolarità. Nessuna di queste caratteristiche appartengono al Cristo; egli si è umiliato nella carne e la sua proposta di salvezza sappiamo che passerà attraverso l’ignominia della croce. Egli viene ad annunciare la verità e la libertà, ma per far questo deve cancellare dalla nostra mente tutte le manie di grandezza e di prestigio per far rifiorire in noi l’umiltà dei figli e la gioia di poter chiamare il nostro Dio, Padre. Buona giornata

 

 

Domenica 31 agosto 2025, XXII° del Tempo Ordinario

Dal Vangelo secondo Luca Lc 14,1.7-14

Chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato.

 
Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cedigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

 

Parola del Signore.

 

 

Come Gesù riesce ad entrare nei nostri atteggiamenti quotidiani! Il brano evangelico mette in evidenza un nostro modo di agire. In quante occasioni vogliamo primeggiare, vogliamo metterci in primo piano! Non soltanto nei momenti importanti della vita e nelle decisioni fondamentali, ma anche in tanti piccoli episodi quotidiani vogliamo dimostrare una nostra superiorità. Sembra quasi un modo di comportarsi naturale, per quanto è diffuso; eppure Gesù da questo piccolo particolare della nostra vita coglie lo spunto per un bellissimo insegnamento che dovremmo fare nostro per valutare tutta la nostra vita. Gesù ci vuole vedere agli ultimi posti per portarci, con Lui, ai primi posti del banchetto celeste. L’umiliazione alla quale siamo invitati può essere letta in una duplice prospettiva. In direzione verticale nel nostro rapporto con il Signore ed un’altra in senso temporale perché è la promessa nella nostra ricompensa futura. L’unione di queste due prospettive allarga orizzontalmente la nostra vita nell’amore che dimostriamo verso i nostri fratelli. Gesù si è umiliato nella carne per diventare nostro fratello e renderci tutti fratelli nel suo nome e nel suo amore. Proprio l’esempio di Gesù è la nostra migliore indicazione di cosa significhi, concretamente l’umiliazione alla quale siamo invitati. Maria, la madre di Gesù è ancora un esempio che possiamo fare nostro e che ci dimostra come da questo atteggiamento, rettamente compreso, nasce l’amore e la disponibilità per i fratelli; anzi è proprio sul terreno dell’amore e della vera carità che possiamo dimostrare cosa significhi essere umili di fronte al Signore, perché possiamo poi essere esaltati nella gioia del Signore, che ora è seduto alla destra del Padre. Buona Domenica

 

 

Sabato 30 agosto 2025

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 25,14-30

Sei stato fedele nel poco, prendi parte alla gioia del tuo padrone.

 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì.
Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro.
Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: “Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: “Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due”. “Bene, servo buono e fedele – gli disse il suo padrone –, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone”.
Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”.
Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”».

Parola del Signore.

 

 

Dio mi ha concesso la vita, e con la vita, che è un dono, mi ha assegnato un compito: il bene mi è semplicemente affidato, bene di cui sono personalmente responsabile. Il primo dei beni che ho davanti a me, sono io stesso. Non sono io il padrone della mia vita, essa mi è stata concessa da Dio, ed egli me ne farà rendere conto, come il padrone del Vangelo che, al ritorno dal suo viaggio, chiamò i suoi servitori affinché rendessero conto dei beni ricevuti da lui. Vi sono delle persone che non credono alla vita, che non credono al compito che Dio ha loro assegnato, e sotterrano così il loro talento, la loro vita nella sabbia di un egoismo prudente. Per loro vivere è aspettare la vita. Dio li condanna. Altri, più audaci, fanno saggiamente prosperare il dono divino, e lo moltiplicano. Dio mi ha dato la vita, affinché io moltiplichi i beni sulla terra, affinché io trovi, per mezzo di questo lavoro, un senso alla mia vita, e scopra la mia vocazione, cioè il bene che Dio mi dà da compiere. Se non sotterro la mia vita nella sabbia e ho l’audacia di accogliere i doni di Dio, posso nutrire la speranza che egli mi approverà. Molte persone non credono in sé stesse, perché hanno sotterrato i loro talenti. Soltanto la fede nel Dio vivente ridà all’uomo la fede nella vita, poiché questa fede non è nient’altro che la fede nel bene che Dio mi ha dato da compiere, e che spesso si dimentica. Buona giornata

 

 

Venerdì 29 agosto 2025, Martirio di San Giovanni Battista

Dal Vangelo secondo Marco Mc 6,17-29

«Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista».


In quel tempo, Erode aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodiade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodiade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodiade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.

 

Parola del Signore.

 

 

Nel martirio di Giovanni il Battista si manifesta tutta la potenza del peccato, quando esso entra in un cuore e si stabilizza per sempre. Un solo peccato prende dimora in noi e subito una moltitudine di altri peccati vengono commessi, quasi con naturalezza. Se all’inizio la coscienza ha qualche fremito a causa del timore del Signore, che come tenue luce ancora la illumina, con il passare del tempo questa luce si spegne e l’uomo si abbandona al male in un crescendo inarrestabile. Per questo urge mettere ogni attenzione a non cadere mai nel primo peccato. Questa sovente è anche la nostra intenzione: quella di non giungere mai al peccato mortale. Se questa è la nostra volontà, perché poi irrimediabilmente si cade e si precipita di peccato in peccato, fino a giungere ai più odiosi crimini e nefandezze? La risposta ce la offre il Libro del Siracide. Esso così insegna: “Chi disprezza le piccole cose cadrà a poco a poco” (Sir 19,1-2). Si comincia sempre dalle piccole cose, dai piccoli peccati veniali, dalle piccole trasgressioni. Si comincia da ciò che non fa paura, perché non mette in allarme la coscienza. Si inizia con le piccole cose, poi queste divengono sempre più grandi, fino al tonfo irreparabile, fino alla morte dell’anima e della stessa coscienza, che giunge a soffocare la verità nell’ingiustizia. Il peccato poi si fa struttura, coalizione, progetto, attesa dell’ora propizia e conveniente. Una volta che si cade in questa rete e trappola di morte, anche se uno volesse tornare indietro non può, non ce la fa. È obbligato dal suo peccato a commettere altri peccati. Per cui è il peccato stesso che richiede ed esige una moltitudine si altri peccati, quasi come a coprire quelli precedenti, ignorando che mai un peccato potrà coprire un altro peccato, anzi il peccato successivo altro non fa che ingrandire quello precedente. Erode ha commesso un peccato di adulterio. Si è presa in moglie la moglie di suo fratello ancora vivente. Questo non era consentito da alcuna legge. Si portò il peccato nella sua casa. Con il peccato conviveva. Ecco a cosa lo spinge questo peccato: ad uccidere Giovanni il Battista. Da solo l’adulterio non sarebbe stato sufficiente. Ad esso si aggiunge la malizia della figlia di Erodiade, della stessa Erodiade congiuntamente all’impudicizia dello stesso Erode e della sua stoltezza ed insipienza. Sempre si comincia con il poco. Poi però non ci si ferma più. Vergine Maria, Madre della Redenzione, Donna purissima, che non hai conosciuto neanche il più piccolo peccato veniale, Angeli e Santi Dio, aiutateci a non disprezzare i piccoli peccati veniali.
Sono essi che ci aprono la via verso la perdizione eterna.
(Movimento Apostolico). Buona giornata

 

Giovedì 28 agosto 2025, Memoria di Sant'Agostino, Vescovo e Dottore della Chiesa

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 24,42-51

Tenetevi pronti.


In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Vegliate, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo.
Chi è dunque il servo fidato e prudente, che il padrone ha messo a capo dei suoi domestici per dare loro il cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così! Davvero io vi dico: lo metterà a capo di tutti i suoi beni.
Ma se quel servo malvagio dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda”, e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a mangiare e a bere con gli ubriaconi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli ipocriti: là sarà pianto e stridore di denti».

Parola del Signore.

 

 

 

Il vangelo odierno appare quasi lugubre, angosciante, paragonando il Signore ad un ladro che viene nella notte. Talvolta ci costruiamo un’immagine della fede in Dio edulcorata, e oggi vi si indulge fin troppo, ma non riusciamo a capirne la serietà e l’impegno che essa comporta. Mi sembra che le due letture siano un richiamo ad intendere la nostra scelta di fede come momento fondante della nostra stessa esistenza. Volevo proporvi uno stralcio di Padre Enzo Bianchi, ve lo propongo a commento delle due letture e provate a considerarlo come una seria riflessione non sulle “cose ultime”, ma “sulle cose importanti”: «E’ sconcertante come oggi la fede sia relegata ad essere una cosa tra le altre, accanto al lavoro, al footing, allo studio, alla dieta. Ci pensavo perché oggi, a causa del tema “fuoco”, ricordavo la sistematica reazione di una catechista quando, in occasione del loro ritiro per la cresima che fanno in monastero, racconto ai ragazzini che il fuoco è uno dei simboli della fede e che come il cero pasquale, simbolo di Cristo, si consuma facendo fuoco, così anche noi dovremmo bruciare per la nostra fede. Così poi racconto sempre l’apologo della famosa farfalla che per conoscere il segreto del fuoco decide di immergervisi. “Una sola farfalla ora conosce il mistero del fuoco – dice alla fine della storia la saggia farfalla al raduno delle altre farfalle – ma lei sola ora lo sa e lo comprende”. Beh ogni volta che racconto la storia alla fine mi devo sorbire la catechista che si sente in dovere di “ridimensionare” i ragazzini e non sconvolgerli troppo, dicendo che noi non dobbiamo pensare che la fede vuol dire consumarsi, morire, ma che invece è una bella cosa che fa calore, che splende… e così se i ragazzini se un attimo, forse, hanno pensato di trovarsi di fronte ad una cosa seria, subito dopo il “sano intervento ridimensionatore” tirano un sospiro di sollievo perché capiscono che possono inserire la fede dopo il nuoto e prima dei cartoni animati. Beh io credo che questa cosa alla fine la scontiamo, se appunto Dio è fuoco divorante. Porsi il problema della morte, della nostra morte, è l’unico modo per porsi il vero problema del senso della vita, che infatti oggi spesso sfugge. Ci chiediamo più come e per che cosa vogliamo vivere e morire? Per che cosa consumiamo le nostre energie?». Buona giornata